Banana Phorum
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Autore Discussione: Epical Tale  (Letto 1881 volte)
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Moon^Shade
In effetti, sembra proprio che voglia stare qui
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hell_flame@hotmail.it
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« inserita:: 09 Gennaio 2006, 18:56:52 »

Siccome mi avete fatto venire voglia di scrivere e raccontare, ora tocca a me :*

Voglio tante critiche ma anche complimenti :P

[div align=center].Fuoco.[/div]


Mi guardai attorno. Mi trovavo di fronte al luogo che avevo rincorso per anni, a cui dalla mia giovinezza agognavo. Fiamme cremisi danzavano di fronte ai miei occhi attoniti sprizzando con violenza dal fiume di rossa lava mentre ammiravo l’enorme palazzo di pietra che ne era attorniato. Mi guardai il petto ricoperto di ferro: Ero impresentabile. La mia armatura, una volta lucida e perfetta adesso si presentava ammaccata e annerita in più punti, dove avevo ricevuto i colpi peggiori.
“Esiti?”
Disse una voce dentro di me. Non risposi, non ne avevo bisogno. Feci il primo passo sul ponte di ferro ammaccato come la mia armatura mentre i miei passi pesanti rumoreggiavano sul ponte e si univano al ruggire dei vulcani e al tremore della terra, componendo una musica, l’epica ballata della fine della mia avventura… Quando essa finì anche io avevo finito. Il ritmare del metallo sul metallo era diventato il soffocato rumore di passi sulla terra, fino a diventare il secco suono della pietra. Mi fermai a contemplare il portone scolpito che da sempre sognavo di attraversare… Epica utopia, sei stata raggiunta, pensai mentre trionfalmente mettevo piede nel maniero. Il portone, come mi aspettavo si richiuse dietro di me, con il rumore sinistro di cigolio meccanico e magia. Ero immerso nell’oscurità e feci qualche passo avanti. Ero pronto ad estrarre la torcia ma non ce ne fu bisogno: come scintille in un braciere che muore, torce arancio vivo appese al muro esplosero fuoco, illuminando il corridoio lungo e dritto che si apriva su numerose porte. Ma sapevo che sarebbe stato inutile aprirle tutte, Lui era là dritto davanti a me, come sempre, dietro l’ultima porta. Un passo dopo l’altro, nota dopo nota, i miei ferrei stivali toccavano sordi il suolo pietroso. Un tappeto rosso d’accoglienza strappato e bruciacchiato si stendeva spiegazzato sotto i miei piedi, fastidio inutile. Gli scheletri dei miei predecessori giacevano in pile qua e là per la stanza. I loro spiriti mi chiamavano per nome, sussurravano vuote richieste supplichevoli, ma io non li ascoltavo affatto… Deboli… Era per colpa loro che io dovevo patire tutto questo, solo per colpa loro la mia vita era stata dilaniata dalla colpa e dal dolore… I miei passi si fecero più rapidi mano a mano che la mia rabbia saliva, che il mio astio cresceva. Le voci si fecero più insistenti, più pressanti e le piccole luci rosse che ballavano dentro i teschi dei loro vecchi padroni ballarono più forti davanti le mie stanche palpebre. Mi accorsi di star tremando solo quando fui davanti all’ultima porta della mia avventura, ma quando posai la mano sulla maniglia non c’era altro nel mio cuore che la determinazione. Sentivo l’acciaio della mia armatura penetrare nei recessi più profondi della mia anima e circondare il mio cuore in un’impenetrabile morsa di ghiaccio. Ero pronto. Mentre spingevo verso il basso la maniglia del mio destino ogni cosa che avevo passato mi venne in mente con forza, spingendo per farsi spazio tra i ricordi. Ogni particolare si impresse nella mia memoria come un marchio incandescente, temprando il mio animo, forzando ogni singolo muscolo a contrarsi. Le nocche della mano che stringevano la maniglia divennero bianche e lasciarono la presa. La porta si aprì fulminea con fragore e enorme baccano, rompendo il silenzio di tomba che io avevo creato attorno a me e ai miei pensieri. Abbassai la gamba con cui l’avevo colpita e guardai avanti. Fuoco. Ecco cosa vidi: fuoco. La stanza non era una stanza, ma un enorme cratere ribollente ci lava rossa. Non sentivo caldo, non ci facevo neppure caso. In piedi con le mani dietro la schiena c’era Lui, su un ponte di roccia, lo sguardo freddo e distaccato mi squadrava. Camminai lentamente verso di lui senza alcuna remora. Quelle appartenevano al passato, le avevo lasciate dietro la porta, sulla maniglia che esitavo ad aprire. Accelerai lentamente mentre camminavo verso il mio destino. Quando incrociai la mia lama contro la sua mentre la estraevo mi accorsi di star correndo. Lui mi guardò, lo stocco in una mano, l’altra dietro la schiena.
“Morirai” disse con un tono triste nella sua tanto familiare voce calma.
Non risposi. Sapevo che non sarebbe andata come diceva, lo dicevano il mio acciaio fermo e pesante e il mio sangue che scorreva veloce. Sentii il mio sguardo bruciare e vibrai un altro colpo, guardandolo dritto nelle sue nere iridi. Lo parò velocemente con un suono cristallino e fulmineo che si legava al precedente e poi al successivo e a quello dopo ancora. Una musica, la melodia della Guerra e della Morte, dell’Odio, del Peccato. Le note d’acciaio delle nostre spade risuonarono per tutto il ponte di pietra susseguendosi continue e ritmate, alte e basse, gravi ed acute. I suoni epici delle nostre lame e dei nostri passi erano fusi a quelli del vulcano sotto di noi. Un incantesimo, una stregoneria ci teneva ancorati al suolo: sentivo di potermi alzare da esso in ogni momento. Ogni suono che vibrava per l’incrocio del metallo sul metallo me ne rimembrava altri mille che avevo sentito. Poi, d’improvviso la musica si fermò, la melodia si spense e il ritmo si ruppe mentre la mia spada affondava nel suo petto e si bagnava del suo sangue sprizzante e vivo. Con orrore, vidi che aveva gettato via la sua arma che adesso si stava sciogliendo nel calore della lava, fondendosi e affondando nelle fiamme. E mentre se ne andava, con i suoi ultimi respiri mi guardò, ed era felice.
“Ora so che avresti potuto… proteggerla...” disse, mentre i miei occhi si riempivano di lacrime. Il fuoco divampava attorno a me. Il vulcano rumoreggiava e il ponte di roccia erodeva ai lati. E dopo aver ucciso il mio miglior amico nulla mi rimase: solo il fuoco, quel fuoco tanto simile a me, che mi attorniava e che improvvisamente mi coprì, mentre il vulcano esplodeva. Allora fui un tutt’uno con esso e con l’acciaio, nell’assordante scenario della mia epica morte.
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"Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono piu uguali degli altri"[/span]

[span style=\'color:green\']George Orwell, La fattoria degli animali
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