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Autore Discussione: I giovani infelici  (Letto 14096 volte)
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Cho Teko
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« inserita:: 08 Maggio 2007, 09:51:38 »

http://www.napoliassise.it/paginesparse/pa...%20infelici.pdf

(vi avverto: c'è pubblicità in questo post)

Ho letto questo testo grazie ad un gruppo di lettura formatosi verso ottobre/novembre che si chiama Pagine Sparse (sì, non perdete tempo a pensare che non l'avete mai sentito). Questo gruppo si è formato in seguito all'esigenza di alcuni ragazzi della mia scuola, a cui se ne sono uniti altri di altre scuole in seguito, di ricevere dall'istituzione scolastica qualcosa in più del mero nozionismo dei manuali di letteratura, storia, filosofia; al termine del nostro percorso di studi, salvo i casi di pochi professori illuminati o di nostro personale, privato e cocciuto interesse, la nostra formazione esclude del tutto la conoscenza e la capacità di critica, di discussione. Il nostro sistema scolastico è strutturato in modo tale da doverlo quasi aggirare per permetterci di coltivare eventuali passioni, e non prevede in nessun modo che si sviluppi un dialogo sull'oggetto del nostro studio. Da qui l'idea di riunirci una/due volte a settimana per leggere brani di grandi e piccoli autori proposti dai membri stessi del gruppo e di sviluppare un discorso critico su di essi, non con la pretesa di produrre un'analisi da libro di testo, ma certamente con lo scopo di produrre in noi stessi la necessità di un'analisi. La mancanza di dialogo e di stimolo nell'ambito scolastico e la mancanza di buoni esempi nell'ambito mediatico è riflessa dalla totale mancanza di interesse e passione della maggior parte dei nostri coetanei nei confronti della cultura in sé e per sé, del piacere del discorso e della conoscenza; questo gruppo altro non è che terreno fertile dove piantare quel barlume di amore per la cultura e per la società -perché lo stesso discorso è valido per il mondo politico-sociale, che al contrario delle lettere è molto vagamente contemplato perfino nel programma ministeriale- e, personalmente parlando, non posso non dire di essere cresciuto molto grazie ad esso.
Abbiamo previsto sette piccoli volumetti come quello che avete letto (il primo, ma se il discorso prende piede vi linko anche gli altri due, e magari i testi non pubblicati), contenenti brani selezionati tra quelli che leggiamo man mano, che sono stati e saranno pubblicati e presentati in diversi posti nel corso dell'anno scolastico. E nell'ottica di cui sopra, come non cominciare con questo: Pasolini che parla di noi (anche se lui non poteva saperlo e questo è anche più preoccupante) e dei nostri coetanei, cercando una colpa dietro alla nostra condizione-punizione, a sua volta nostra colpa che verrà scontata da qualcun altro. Non bisogna interpretare questo brano come il manifesto di chicchessia, solo utilizzarlo come spunto di riflessione: personalmente non amo Pasolini in tutto e per tutto, e sicuramente non apprezzo il suo stile; tuttavia rimango colpito, nel vero senso della parola, da pezzi come
Citazione
I figli che ci circondano, specialmente i più giovani, gli adolescenti,sono quasi tutti dei mostri. Il loro aspetto fisico è quasi terrorizzante, e quando non terrorizzante, è fastidiosamente infelice. Orribili pelami, capigliature caricaturali, carnagioni pallide, occhi spenti. Sono maschere di qualche iniziazione barbarica, squallidamente barbarica. Oppure,sono maschere di una integrazione diligente e incosciente, che non fa pietà.
o come
Citazione
parlano vecchi dialetti incomprensibili, o addirittura tacciono, lanciando ogni tanto urli gutturali e interiezioni tutte di carattere osceno. Non sanno sorridere o ridere. Sanno solo ghignare o sghignazzare.
per la loro disarmante veridicità, per il senso profondo di appartenenza che provo leggendoli. Questo brano mi ha fatto riflettere su un gruppo di persone con cui sono uscito per un po', e la conclusione a cui sono giunto mi è parsa perfettamente in linea: queste persone tra loro parlano solo di altre persone dello stesso gruppo, delle relazioni tra queste e dell'immancabile "evento" che quasi come una necessità si ripresenta, eclatante come una coppia che si spezza o un'altra che si forma, a fomentare nuovi discorsi e nuovi eventi per le due settimane successive. Così il sabato sera passa, tra una birra e una sigaretta, non nell'apatia o nel distacco, che in certi casi possono avere senso, ma nello sforzo disumano di provare interesse per cose assolutamente futili come la maglia e la fidanzata nuova dell'amico; non tranquillo, ma vuoto.
E' una sensazione strana quella di chiedere ad una classe di 25 persone se hanno visto 2001 Odissea nello spazio o Arancia Meccanica e sentirsi rispondere "sì" da tre o quattro di loro, uno solo dei quali non li ha visti per sbaglio. L'interesse delle persone è lontano dalla cultura, il libro è un nemico o un soprammobile indesiderabile; sono cose troppo ferme i libri, troppo lunghe, troppo lente. Sono gli eventi frenetici, semplici, forti quelli che destano la curiosità, e non c'è tempo per la riflessione.

Sia chiaro che non condanno gli atteggiamenti qui descritti e non ritengo di essere superiore né a chi se ne frega dei libri né a chi ne legge in quantità: mi limito a dire che, a causa della scuola, della tv, di quel che vi pare la nostra generazione si è formata così, e per quanto non la condanni la compatisco; la compatisco però come si compatisce chi non vuole assaggiare il cibo cinese perché sa a priori che non gli piace, non come chi non lo assaggia perché è allergico alle spezie.

(ah Pennuth e Diggio: d'accordo o non d'accordo che siate, non siete autorizzati a rispondere con un post inferiore alle 30 righe. >:\)
« Ultima modifica: 08 Maggio 2007, 10:06:47 da Cyrano de Bergerac » Registrato

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« Risposta #1 inserita:: 08 Maggio 2007, 15:57:43 »

Mi sembra la stessa questione che ho dibattuto tempo fa in un tema il cui titolo si può brevemente sintetizzare in "Crisi di valori".

Data la sua banalità, ho tentato mestamente di difendere la generazione a cui faccio, e a cui anche Dark fa, parte. Il problema fondamentale è questo: siamo certi che la carenza di valori sia un fatto negativo, di per sè? Io non ne sono affatto sicuro, e due esempi mi balzano subito alla testa, uno attuale l'altro letterario:

a) nessuno può mettere in dubbio che un kamikaze abbia ideali fortissimi (cavolo, si uccide per un'idea - umanamente una persona che stimo perfino). eppure.. eppure crede in qualcosa che noi riconosciamo come sbagliato. il problema è che tutto è relativo, ergo possiamo forse correre il rischio di sbagliarci e di credere -noi, noi civiltà europea- in qualcosa di erroneo mentre i valori corretti in cui dovremmo credere sono appunto quelli di un ipotetico kamikaze?

b) Leopardi stesso nei suoi scritti afferma (vado a braccio :D) che invidia i morti giovani (e Silvia stessa) perché non hanno visto le loro illusioni cozzare duramente contro la realtà, e gli animali (vd "Il passero solitario") perché hanno solo l'istinto e non la ragione.. ergo non fanno forse bene a non interessarsi della cultura e del raziocinio, perché portatori spesso di tristezza e malinconia?

certo, senza il raziocinio non saremmo dove siamo adesso, ma evidentemente le profezie teoriche kantiane del "se tutti facessero quello che faccio io, cosa succederebbe?" sono solo un effimero volo pindarico, perché ciò puntualmente non accade.. ergo, mentre 'loro' se ne fregano, 'noi' no.

La letteratura e la filosofia - come buona parte del panorama scolastico, in particolar modo, questo a parziale difesa va detto, se ci sono dei professori incompetenti, sono considerate vetuste e lontane.

La frenesia serve perché siamo una generazione svogliata, una generazione che non ha mai eroso le labbra dell'amante in un bacio violento come sa essere l'amore ma ha sussurrato la frase della boyband scelta a caso su un programma di sms squallido alla prima tipa appetibile che vede. Una generazione svogliata che si rende e che è resa svogliata. I nostri mali sono il volemose bene e i compromessi, il voler ostentare diplomaticità quando forse servirebbe una dittatura nei propri sentimenti e una chiarezza nel proprio essere.

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« Risposta #2 inserita:: 08 Maggio 2007, 16:19:06 »

Prima di rispondere, mi piacerebbe poter leggere il testo linkato da Dark, se solo ci riuscissi. Sarà mica colpa del link?

Se, comunque, tutto il testo di Pasolini sarà simile ai pezzi citati, credo di poter dire in anticipo che si tratta di un testo molto, molto stupido.
Felice di sbagliarmi, ma fare analisi parziali (e questa sembra esserlo) non mi é mai piaciuto.
« Ultima modifica: 08 Maggio 2007, 16:21:11 da Steve Morse » Registrato

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« Risposta #3 inserita:: 08 Maggio 2007, 17:54:12 »

Te l'ho salvato, da qui lo scarichi
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« Risposta #4 inserita:: 08 Maggio 2007, 18:23:00 »

Prima di rispondere aspetto che posti qualcun altro, però ci tenevo a chiarire un punto: quando dico "compatisco", intendo proprio che mi dispiace per le persone in questione perché perdono molto, esattamente come Dj perde il divertimento del giocoleggio :*
« Ultima modifica: 08 Maggio 2007, 18:23:52 da Cyrano de Bergerac » Registrato

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« Risposta #5 inserita:: 08 Maggio 2007, 19:22:54 »

Citazione
Mi sembra la stessa questione che ho dibattuto tempo fa in un tema il cui titolo si può brevemente sintetizzare in "Crisi di valori".

Data la sua banalità, ho tentato mestamente di difendere la generazione a cui faccio, e a cui anche Dark fa, parte. Il problema fondamentale è questo: siamo certi che la carenza di valori sia un fatto negativo, di per sè? Io non ne sono affatto sicuro, e due esempi mi balzano subito alla testa, uno attuale l'altro letterario:

a) nessuno può mettere in dubbio che un kamikaze abbia ideali fortissimi (cavolo, si uccide per un'idea - umanamente una persona che stimo perfino). eppure.. eppure crede in qualcosa che noi riconosciamo come sbagliato. il problema è che tutto è relativo, ergo possiamo forse correre il rischio di sbagliarci e di credere -noi, noi civiltà europea- in qualcosa di erroneo mentre i valori corretti in cui dovremmo credere sono appunto quelli di un ipotetico kamikaze?

b) Leopardi stesso nei suoi scritti afferma (vado a braccio :D) che invidia i morti giovani (e Silvia stessa) perché non hanno visto le loro illusioni cozzare duramente contro la realtà, e gli animali (vd "Il passero solitario") perché hanno solo l'istinto e non la ragione.. ergo non fanno forse bene a non interessarsi della cultura e del raziocinio, perché portatori spesso di tristezza e malinconia?

certo, senza il raziocinio non saremmo dove siamo adesso, ma evidentemente le profezie teoriche kantiane del "se tutti facessero quello che faccio io, cosa succederebbe?" sono solo un effimero volo pindarico, perché ciò puntualmente non accade.. ergo, mentre 'loro' se ne fregano, 'noi' no.

La letteratura e la filosofia - come buona parte del panorama scolastico, in particolar modo, questo a parziale difesa va detto, se ci sono dei professori incompetenti, sono considerate vetuste e lontane.

La frenesia serve perché siamo una generazione svogliata, una generazione che non ha mai eroso le labbra dell'amante in un bacio violento come sa essere l'amore ma ha sussurrato la frase della boyband scelta a caso su un programma di sms squallido alla prima tipa appetibile che vede. Una generazione svogliata che si rende e che è resa svogliata. I nostri mali sono il volemose bene e i compromessi, il voler ostentare diplomaticità quando forse servirebbe una dittatura nei propri sentimenti e una chiarezza nel proprio essere.

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Cito il post di Dj, ma rispondo anche al messaggio principale. Noto nelle vostre parole un tipo di pensiero che a lungo è stato anche mio, ma che adesso sento molto più in discussione.(Madonna quanto mi sto sul cazzo con 'sto tono da professore....ehm)

Sulla questione alzata riguardo all'esempio del Kamikaze, che DJ affianca come contraltare alla cosidetta crisi dei valori o "modernità liquida", come si usa dire, penso che sia troppo enfatizzato nel paradosso quest'esempio. Ovvero, l'essere Kamikaze è una scelta estrema, una scelta che viene fatta laddove non c'è via d'uscita, laddove la religione non è solo un "valore forte", ma è veramente un fondamento base della cultura, senza la quale crolla l'intero sistema.
Da noi la secolarizzazione ha portato un cambiamento di questo paradigma, che adesso è sempre più orientato verso la vita materiale e l'individualismo.
La "crisi dei valori" sarebbe una degenerazione del processo qui sopra. Ma anche qui, seppure ci siano degli spunti, mi sembra che il dibattito capace di venirne fuori sia troppo ampio. Quali sono i valori che stanno venendo meno? Se vengono sono sostituiti da altri? Ed è realmente una perdita lo smarrimento di certi timori?
Ripeto il dibattito è lungo e complesso. Non va estremizzato altrimenti diventa esile e senza uscita.

Sul Leopardi, la sua polemica è con la natura, in quanto matrigna in grado di farci vivere una "verde etate" per poi togliercela bruscamente. Ma tutto il suo discorso, a mio avviso, nonostante anche qui ci siano mille sfaccettature, si identifica con un enorme rimpianto, con una enorme malinconia e pessimismo derivante da un forte amore per la vita, che si esprime al suo massimo grado in gioventù. E non va letto come una polemica contro la cultura o il sapere, perchè senza di esso non vi è sì il dubbio e la disperazione materialistica, ma non vi è neanche il pieno godimento dell'esistenza, che altrimenti scivola sulla pelle sotto forma di eventi dei quali si perderà memoria. In fondo, Leopardi stesso guarda con disprezzo i suoi rozzi compaesani recanatesi, apostrofandoli per la loro ignoranza e la loro superficialità.

Sul discorso in generale sui giovani, sulle generazioni, direi che anche qui bisogna evitare di costruirsi dei luoghi comuni (che comunque esistono). Ovvero, non è che ci sono generazioni stupide o barbare a fronte di altre. Se prima si leggeva di più non è detto che lo si facesse per amore della cultura. A parte il fatto che la letteratura è stata a lungo un ambito a pannaggio esclusivamente aristocratico c'è da dire che anche prima si leggeva quello che andava di moda, anche se faceva schifo o quello che risultava accettato, anche se era mediocre. Non è che i giovani di oggi in quanto in crisi di valori non amano la cultura. C'è da dire che è normale che con un mezzo totalizzante come quello televisivo, diffusissimo, e con un accesso di massa all'industria culturale è assolutamente regolare che vi sia un impoverimento o una diminuzione delle percentuali di lettori.
Quando parlo con persone di 40-50 anni, che mi dicono di aver letto "Guerra e pace" perchè all'epoca andavano di moda i russi, non è che penso siano una migliore generazione. Penso che oggi, tra la pletora di alternative alla moda, ce ne sono parecchie che non valgono niente...e siccome il contesto ha un ruolo fondamentale nel formare l'individuo, fate voi il due più due.

Boh, spero di esser stato chiaro, forse ho scritto cose di cui, alla prossima lettura mi pentirò, ma tant'è. La messa è finita. =P
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"E di nuovo tornerò alla casa paterna
e di gioia d'altri mi consolerò
alla finestra in una verde sera
con una manica m'impiccherò.

I canuti salici lungo la siepe
chineranno più teneri il capo
e al latrato dei cani il mio corpo
seppelliranno nemmeno lavato"
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« Risposta #6 inserita:: 08 Maggio 2007, 20:43:58 »

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Sulla questione alzata riguardo all'esempio del Kamikaze, che DJ affianca come contraltare alla cosidetta crisi dei valori o "modernità liquida", come si usa dire, penso che sia troppo enfatizzato nel paradosso quest'esempio. Ovvero, l'essere Kamikaze è una scelta estrema, una scelta che viene fatta laddove non c'è via d'uscita, laddove la religione non è solo un "valore forte", ma è veramente un fondamento base della cultura, senza la quale crolla l'intero sistema.

L'essere fondamento base non è secondo me un elemento tale per cui non considerarlo "valore forte"; pensa che anche in Italia molti rimpiangono quell'insieme di valori (molti dei quali io giudico positivamente) che portava con sè la chiesa cattolica (religione radicata) come ora il kamikaze islamico si trova disposto a una scelta estrema (su questo ne posso convenire - spesso senza altra via d'uscita) - religione radicata; le due religioni 'richiedono' diversi modi di purificazioni, o per meglio dire le interpretazioni delle due religioni.. ma la sostanza è quella.

Citazione
l'individualismo.

Parola chiave, e sarebbe degna da lanciarci un dibattito all'interno del topic.. E' un valore positivo o negativo?
Vorrei sentire qualche risposta altrui prima di dire la mia.

Citazione
Ma anche qui, seppure ci siano degli spunti, mi sembra che il dibattito capace di venirne fuori sia troppo ampio. Quali sono i valori che stanno venendo meno? Se vengono sono sostituiti da altri? Ed è realmente una perdita lo smarrimento di certi timori?
Ripeto il dibattito è lungo e complesso. Non va estremizzato altrimenti diventa esile e senza uscita.

Non sono molto d'accordo.. mi piacerebbe una divagazione del dibattito in questo ambito :° ma lascerò agli altri la loro risposta

Citazione
E non va letto come una polemica contro la cultura o il sapere, perchè senza di esso non vi è sì il dubbio e la disperazione materialistica, ma non vi è neanche il pieno godimento dell'esistenza, che altrimenti scivola sulla pelle sotto forma di eventi dei quali si perderà memoria. In fondo, Leopardi stesso guarda con disprezzo i suoi rozzi compaesani recanatesi, apostrofandoli per la loro ignoranza e la loro superficialità.

Riusciresti a darmi qualche esempio tangibile di ciò? Solo per capire, giuro!, anche perché credo tu ne sappia molto più di me di ciò.. è che nel poco che ho letto di lui non ricordo questa concezione, che mi pare quasi troppo poco romantica.. ma sono probabilmente condizionato dal romanticismo spagnolo in questo :D


Sono molto d'accordo con il tuo discorso finale, ma.. dalla tv si può uscire, ci sono metodi per non rimanerne succubi, e molti di noi ne sono una prova. Com'è possibile invece che la maggioranza cada fra le sue grinfie, è la vera domanda..
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« Risposta #7 inserita:: 08 Maggio 2007, 23:57:57 »

Prima di rispondere mi vedo costretto ad introdurre il mio stesso post. Innanzitutto avviso il lettore che quello che segue è un post lungo, ma non difficile. Quindi per leggerlo basta avere un po' di tempo ed un po' di pazienza, ma non necessariamente un QI altissimo ed una vastissima cultura. Se vi spaventa la lunghezza potete chiudere la pagina in questo precisissimo istante, perché leggerne una parte è peggio che non leggerlo per niente.
Prima di proseguire, inoltre, ci tengo molto a specificare che quello che ho detto è abbastanza, ma non tutto. Intendo dire che ho detto fin troppo, per quelli che sono i miei gusti e le mie abitudini, di quello che penso. Tuttavia, visto che le persone che partecipano alla discussione hanno fatto lo stesso, esponendo il proprio pensiero e dichiarandosi aperte al dialogo, sono felice di potermi confrontare con loro, anche se dovessero trovare completamente ridicole le mie idee.
Infine è importante ricordare che per motivi di tempo e di incapacità non sono riuscito a scrivere tutto quel che avrei voluto e avrei potuto scrivere, essendo così costretto a riassumere le mie idee (che, oltre ad essere banali e discutibilissime, spesso sono perfino in contrasto tra loro) in un discorso informe e quasi illeggibile, che spiega solo a grandi linee come la penso sui numerosi argomeni trattati in questo topic (ed anche sui numerosissimi argomenti trattABILI). Quindi ho provato a partire dal discorso di Davk sulla cultura e dal discorso di Pasolini sull'infelicità della gioventù per fare un discorso un po' più ampio, abbracciando anche i post di quelli che hanno risposto prima di me (e l'ultimo post di DJ, che ha risposto mentre scrivevo il post, costringendomi così a cambiare un po' la direzione che avevo preso :D).
Ci sarebbero altre cose da dire, ma verrebbe fuori un post davvero mostruoso. Mi limiterò a rispondere alle obiezioni che verranno mosse da chi mi legge.
Grazie per l'attenzione e buona lettura :*

[Edit: E dimenticavo: scusatemi se ci sono errori di battitura, ma non ho potuto rileggerlo più di una volta, per preservare la mia salute mentale :°D]





Confesso che nel leggere quel documento mi si è stampato in faccia un sorriso, senza che potessi evitarlo. Ed è rimasto nella lettura di tutti i post che stanno in questo topic. Ma non è un sorriso di soddisfazione. Non è un sorriso come quel sorriso che può fare un bambino quando scopre il trucco del gioco di magia che gli ha appena mostrato un adulto, felice di essere appena entrato in possesso della verità. Non è neanche un sorriso di compassione o di superiorità, perché so che le mie idee valgono quanto quelle di qualsiasi altro, se non di meno. Forse è proprio un ghigno. Perché ghigno? Permettetemi di servirmi di parole di persone ben più autorevoli di me, con le quali sono in perfetta sintonia (ho detto più autorevoli, non più intelligenti. Un giudizio sulla loro intelligenza o sulla loro saggezza è completamente fuori luogo adesso; mi interessa solo prendere in prestito le parole di chi sa esprimersi in maniera più interessante e comprensibile di quanto non sappia farlo io).

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Democrito ed Eraclito sono stati due filosofi, dei quali il primo, stimando vana e ridicola la condizione umana, si mostrava in pubblico solo con volto beffardo e ridente; Eraclito, avendo pietà e compassione di questa stessa nostra condizione, ne aveva il volto sempre rattristato e gli occhi pieni di lacrime,
[div align=center]alter
Ridebat, quoties a limine moverat unum
Protuleratque pedem; flebat contrarius alter.
(Trad.: "L'uno rideva, appena metteva piede fuori di casa, l'altro invece piangeva". Giovenale, X, 28-30)[/div]
Io preferisco l'umore del primo, non perché sia più piacevole ridere che piangere, ma perché è più sprezzante, e ci condanna più dell'altro; e mi sembra che non possiamo mai essere tanto disprezzati quanto lo meritiamo. Il compianto e la commiserazione sono misti a una qualche stima della cosa che si compiange; le cose di cui ci si burla, le si considerano senza pregio. Io non penso che vi sia in noi tanta sventura quanta vanità, né tanta malizia quanta stupidaggine: non siamo tanto pieni di mali quanto di vacuità; non siamo tanto miserabili quanto vili. Così Diogene, che se ne stava per conto suo, baloccandosi a rotolar la sua botte e prendendo in giro il grande Alessandro, stimando gli uomini mosche o vesciche piene di vento, era giudice ben più aspro e pungente, e quindi più giusto, secondo me, di Timone, che fu soprannominato l'odiatore degli uomini. Infatti ciò che si odia lo si prende a cuore. Costui ci augurava del male, era acceso dal desiderio della nostra rovina, fuggiva la nostra compagnia come pericolosa, come quella di gente malvagia e di natura depravata; l'altro ci stimava così poco che non avremmo potuto né turbarlo né corromperlo col nostro contagio; evitava la nostra compagnia, non per timore, ma perché sdegnava di frequentarci; non stimava capaci di far bene né di far male.

Questa è una prima risposta. E' per questo che la lettura di Pasolini mi ha fatto sorridere. Ho trovato risibili le sue idee; ho trovato risibile la condizione della generazione della quale si lamenta e ho trovato risibile anche la mia condizione. Inizio col rispondere al punto che mi sembra sia stato più trascurato (ed anche giustamente):

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Qualcosa di più del mero nozionismo, dici? E cosa pensi che possa darti la scuola (soprattutto quella pubblica)? Innanzitutto servono dei professori ben preparati e ben disposti (con la passione e la capacità di insegnare), e non ne è pieno il mondo. Poi servono degli studenti ben disposti ed interessati. Se fai un sondaggio tra i tuoi coetanei ti renderai conto che il numero di quelli che il sabato sera preferiscono leggersi l'Eneide o la Critica della ragion pura a casa (o perché no, in gruppo) piuttosto che andare a bere/ballare in un qualsiasi pub/discoteca è bassissimo, e forse è perfino uguale a zero. La scuola è una realtà e deve fare i conti con una realtà che è ben diversa da quella che possiamo desiderare. Non puoi organizzare la scuola pubblica sperando che almeno l'80% dei ragazzi sarà interessata tanto alle funzioni esponenziali quanto al pensiero di Pomponazzi (ma neanche a Kant), tanto alla vita di Garibaldi quanto alle poesie di D'Annunzio. Significherebbe essere SCEMI, non solo pazzi. Sappiamo bene che almeno un terzo (e mi sto tenendo molto basso) di quelli che stanno alle superiori se ne fregano di quello che fanno. E a dir la verità di gente così ne sono piene anche le università (e non solo dalla parte degli studenti), ma tralasciamo.
Il problema è che tu pretendi una buona istruzione, per la quale è necessario non solo l'interesse per l'argomento trattato, ma anche una discreta voglia di studiare e soprattutto l'intelligenza. La voglia di studiare, in un modo o nell'altro, se l'argomento ti interessa (o se semplicemente vuoi dei buoni voti), te la fai venire. L'interesse puoi perfino fartelo nascere, con qualche sforzo. Ma per l'intelligenza non c'è santo che tenga. La capacità critica che tu desideri non nasce dal nulla. Per germogliare ha disperatamente bisogno di un terreno fertile, e il terreno fertile è il ragazzo interessato ed intelligente. E non parlo dell'intelligenza come di una cosa comune e di poco valore, sia ben chiaro; di persone realmente intelligenti, che sono destinate ad eccellere (non per forza a raggiungere fama mondiale, eh), non ne è pieno il mondo. Sono elitario? Sì, probabile. Ma devi ammettere che la realtà è questa, ti piaccia o meno. Le persone che hanno: 1) la possibilità di studiare; 2) la voglia di studiare; 3) l'interesse per ciò che studiano; 4) il cervello per eccellere sono davvero poche. E la scuola, purtroppo, non può alzarsi al loro livello, ma deve abbassarsi al livello medio dei ragazzi del giorno d'oggi. Il vostro gruppo l'ha capito, e ha capito anche come uscire da questa situazione orribile. Si dice giustamente aiutati che Dio t'aiuta: voi datevi da fare, coltivate i vostri interessi, ampliate la vostra cultura. Un giorno potreste raccoglierne i frutti (perfino in fama e denaro), ma sappiate che il premio della conoscenza è la conoscenza medesima: La cultura è il miglior viatico per la vecchiaia (Aristotele) [confesso che l'ho presa da Wikipedia, perché cercavo la citazione di un altro filosofo che ha detto una cosa come "impara tutto e vedrai che nulla è inutile", ma non ricordo neanche chi fosse :(].
Aggiungo una mia personalissima idea, anche un po' in tono provocatorio: anche assaggiare il cibo cinese è conoscenza, quindi è bene. Ogni cosa/persona con la quale ci incontriamo-scontriamo ci aiuta sicuramente a crescere; magari ci fa cambiare la nostra visione del mondo, oppure ci conferma le nostre certezze. In ogni caso è sicuramente un vantaggio che giova prima di tutto a noi stessi. Per quanto sia stato brutto sono felice di aver visto perfino Dodgeball. Sicuramente è meglio conoscere un film in più (per quanto brutto) piuttosto che passare una serata a giocare a OGame/Wow/che altro. Insomma, tutto fa brodo, e non è vero che sono importanti solo le nozioni che impari leggendo i libri di storia. Quando ti si intaserà il lavandino di casa ti pentirai di sapere la data della morte di Napoleone o l'Infinito di Leopardi e di non saper aggiustare i tubi, e allora non arriveranno Virgilio o Enea a darti una mano. Pensi forse che quella dell'idraulico non sia conoscenza? E che non serva a stare in un rapporto migliore con sé stesso e col mondo? :D


Detto questo, passiamo alle "cose serie". Non parlatemi di carenza di valori perché mi vien da ridere, come quando sento dire che non ci son più le mezze stagioni. Sono convinto, per dirla con Schopenhauer (a me carissimo), che "Mentre la storia ci insegna che in ogni tempo avviene qualcosa di diverso, la filosofia si sforza di innalzarci alla concezione che in ogni tempo fu, è e sarà sempre la stessa cosa". In altre parole l'uomo è sempre uomo, quindi la storia non può differire tanto da un'epoca all'altra. Dire che oggi non ci sono più valori positivi è come dire che non fanno più il pane buono come una volta, è un coprirsi gli occhi davanti alle stragi del passato per criticare quelle del presente, fantasticando su un'età dell'oro che mai è esistita e mai esisterà. Ti consiglio, sapendo che potrebbe interessarti, di dare una velocissima lettura alla concezione che Nietzsche ha della storia (se non hai l'Abbagnano con Nietzsche chiedilo a Veronica), per capire meglio cosa intendo. La storia non va censurata e/o santificata, ma non dev'essere neanche totalmente eliminata. Guardando al passato possiamo evitare alcuni errori o alcune bestialità, ma difficilmente potremo vincere la nostra stessa natura. E alla vostra introduzione,

Citazione
Pagine sparse nasce dall’idea che la vita non
possa essere occupata dall’indifferenza e dall’egoismo
e che una società segnata da questi sentimenti
è cieca, corrotta e barbara,

io rispondo che è possibile vincere ed eliminare l'indifferenza, impossibile eliminare l'egoismo. Semplicemente perché qualsiasi sensazione investa direttamente la nostra persona è molto più viva e sconvolgente di quel che non ci riguarda direttamente. Ti fa più male sapere che ti sei appena tagliato un dito piuttosto che sapere che in Cina, in questo preciso istante, è morto un Tizio qualunque (perché ora è sicuramente morto qualcuno). Ogni volta che mi sono trovato ad esporre questa mia visione del mondo a qualcuno mi sono sentito dire tutto ed il contrario di tutto, ma in particolare ricordo: "sei cinico", "sei egoista", "fai schifo", "che schifo", "sei un nichilista", "non è vero". Tuttavia quando ho fatto notare a chi mi diceva "non è vero" che in questo istante è morta una seconda persona e noi stavamo continuando a conversare beatamente, senza fermarci a piangerla o a riflettere sulla sofferenza altrui, la conversazione è stata bruscamente interrotta. Non credo che tutti gli uomini siano cattivi per natura, ma sicuramente la maggior parte di essi è naturalmente (sì sì, è per via del desiderio di conservare la nostra vita ed i nostri beni impostoci dalla Natura) incline all'egoismo. Non nego la realtà dell'empatia, della compassione e quel che vuoi tu, ma resto fermamente convinto che è più facile e più naturale pensare a noi stessi che agli altri (se non in rapporto a noi). Da qualche parte (mi sembra ne La filosofia del boudoir, ma non ci giurerei) Sade (che non per niente è colui che ha dato il nome al sadismo) afferma che sentiamo molto di più il più piccolo dei piaceri che non la più grande delle disgrazie altrui (cioè mi "impressiona" di più mangiare un buon gelato che non sapere che la popolazione del Guatemala è stata sterminata da un paio di pazzi assassini, per esempio). Trovo che non sia troppo distante dalla realtà dei fatti, per quanto la sua visione sia sicuramente esagerata e distorta.
Per questo mi fa sorridere il post di DJ, che cita Leopardi, anche se sono completamente e dannatamente d'accordo nel dire che servirebbe chiarezza nel nostro essere e una dittatura nei nostri sentimenti. Ma come possiamo far chiarezza nel nostro essere? Se pensi quel che io penso tu stia pensando (="se ti ho capito bene" :*), ti dico che secondo me è impossibile far chiarezza nel nostro essere. Semplicemente oltre le umane possibilità. Ma prima di risponderti vorrei essere sicuro di averti capito :D
Scizor ha ragione a correggere l'erroneo uso che hai fatto delle parole di Leopardi:

Citazione
E non va letto come una polemica contro la cultura o il sapere, perchè senza di esso non vi è sì il dubbio e la disperazione materialistica, ma non vi è neanche il pieno godimento dell'esistenza, che altrimenti scivola sulla pelle sotto forma di eventi dei quali si perderà memoria. In fondo, Leopardi stesso guarda con disprezzo i suoi rozzi compaesani recanatesi, apostrofandoli per la loro ignoranza e la loro superficialità.

Devo nuovamente citare Aristotele: "Nessuno è felice involontariamente" (Etica Nicomachea). Insomma, è vero che i morti e gli animali non sono infelici perché non sono costretti a misurarsi (e quindi ad essere sconfitti nello scontro) colla realtà, ma è anche vero che non possono neanche dirsi felici, perché la loro è semplice assenza di dolore, non è felicità positiva. Poi ci si potrebbe chiedere se si può ottenere una felicità positiva (e se questa esiste), ma è sicuramente vero che è necessaria la cultura e la razionalità per potersi dire umanamente felici. Ed è sicuramente meglio una felicità precaria come lo è la nostra che la semplice incoscienza degli animali. Studiando Kant ed Aristotele (anche se mi vergogno di dire che non ho ancora letto niente, ma mi sono già ripromesso di rimediare a questa mancanza) ho imparato che la nostra dignità è sempre all'interno dei nostri limiti. Intendo dire che non possiamo sperare di essere felici come potrebbe esserlo un ipotetico Dio epicureo che se ne sta per i fatti suoi, ma dobbiamo fare i conti con le difficoltà ed i problemi che incontriamo ogni giorno. Non possiamo sperare di essere felici con la pace nel mondo se non siamo in grado di provvedere al pranzo ed alla cena. Quello del cibo è un desiderio necessario, che se non viene soddisfatto non solo ci impedisce di raggiungere la felicità, ma ci impedisce perfino di rimanere in vita. Mentre il desiderio di un pranzo preparato da Vissani è sicuramente superfluo e per questo dannoso per il raggiungimento di una vera Felicità.
Come si raggiunge la Felicità? Con una certa consapevolezza di sé e del mondo che ci circonda, e quindi con la cultura menzionata sopra (è per questo che ci ho insistito un po'). Non ritengo possa essere felice chi vive nell'ignoranza del dolore. Ok, non soffre, ma non per questo può dirsi felice. Sono stoicamente convinto che è più facile essere felici se siamo saggi ma ci troviamo nel mezzo di un incendio piuttosto che se ci troviamo tranquillamente adagiati su un prato soleggiato ma siamo dei completi idioti.

Confesso che ho dovuto interrompere la stesura del post e quindi ho perso il filo del mio discorso, ma penso di aver abbondantemente trattato i problemi principali: la felicità, la cultura, l'individualismo/egoismo e il perché del mio ghigno (che non è poco). Penso di poter concludere ed esporre la mia personalissima (e sicuramente temporanea) soluzione ai problemi sopra esposti.

Citazione
I figli che ci circondano, specialmente i più giovani,
gli adolescenti, sono quasi tutti dei mostri. Il loro aspetto
fisico è quasi terrorizzante, e quando non terrorizzante,
è fastidiosamente infelice. Orribili pelami, capigliature
caricaturali, carnagioni pallide, occhi spenti.
Sono maschere di qualche iniziazione barbarica, squallidamente
barbarica. Oppure, sono maschere di una integrazione
diligente e incosciente, che non fa pietà.

Beh, non avevo bisogno che arrivasse Pasolini a dirmelo, soprattutto generalizzando in modo così irritante. Trovo che Schopenhauer lo dica in maniera molto più esplicita ed allo stesso tempo più vera:

Citazione
Vi sono certi individui sul cui viso è impressa una tale ingenua volgarità e una tale bassezza nel modo di pensare, nonché una tale limitatezza bestiale nell'intelletto, che ci stupisce come mai siffatti individui abbiano il coraggio di uscire con un simile viso e non preferiscano portare una maschera.

Quindi, per quanto mi riguarda, a Pasolini non potrei dire altro che "vabbeh, hai scoperto l'acqua calda". Sempre a proposito della bruttezza e della stoltezza della massa mi viene in mente un interessantissimo paragrafo di Controcorrente (di Huysmans), che ho letto di recente, nel quale si parla dell'odio e della nausea che ha il protagonista (un esteta vicinissimo alla misantropia) quando vede le persone che passano per strada. Per la loro volgarità, per la loro ineleganza, per la loro bruttezza, per la loro espressione stupida e disgustosamente comune.
Ma a che serve restare a fissare la bruttezza altrui? A che serve puntare il dito contro il nostro prossimo ed etichettarlo come brutto, volgare e stupido, pur avendo tutta la ragione possibile ed immaginabile? Se è davvero stupido, non capirà quel che gli stiamo dicendo, o peggio ancora ci allontanerà deridendoci per la nostra stupidità. La cosa non migliorerà né lui, né noi stessi. Per rispondere a questo problema cito nuovamente Schopenhauer, pur non conoscendo l'opera dalla quale è tratta la frase (prendo dal sito www.filosofico.net, che mi sembra affidabile).

Citazione
Il giustificato sprezzo degli uomini ci porta a rifugiarci nella solitudine. Ma il deserto di questa a lungo andare dà angoscia al cuore. Per sfuggire al suo peso, dunque, bisogna portarsela in società. Bisogna cioè imparare ad essere soli anche in compagnia, a non comunicare agli altri tutto ciò che si pensa, (a non) prendere alla lettera quello che dicono, al contrario, ad aspettarsi molto poco da loro, sia moralmente che intellettualmente.

Penso che non serva essere dei geni e/o dei misantropi per capire la Verità di questa frase. E' più o meno il primo requisito che la maggior parte dei filosofi greci (se non tutti) ha chiesto alla figura del Saggio: l'autarchia. Per raggiungere la Felicità non basta saper resistere al dolore ed alle avversità; non basta saper educare i propri desideri e saper misurare i propri piaceri; è necessario raggiungere la piena autosufficienza. E autosufficienza non significa misantropia sregolata ed autismo imperante, bensì capacità di contare, per quanto ci è possibile, solo sulle nostre capacità e su ciò che è in nostro potere (e le persone che ci stanno attorno non sono in nostro potere). Seneca ha detto:

Citazione
Due sono i casi: o li imiti o li odi. Ma sono da evitare l'uno e l'altro estremo: non devi assimilarti ai malvagi, perché sono molti, né essere nemico di molti, perché sono dissimili. Ritirati in te stesso per quanto puoi; frequenta le persone che possono renderti migliore e accogli quelli che puoi rendere migliori. Il vantaggio è reciproco perché mentre s'insegna si impara.

E Montaigne, con Tibullo, afferma: "in solis sis tibi turba locis" ("Nella solitudine, sii per te stesso una folla").
E trovo che l'unico modo per essere una folla per noi stessi sia la conoscenza e la consapevolezza di sé stessi sopra menzionate, o l'autarchia. Insomma, chi dice cultura e intelligenza (dalle quali sono partito) dice autarchia, dice autosufficienza, dice perfetta armonia con sé e con il mondo nel quale si vive. E' vero, come diceva Leopardi, che la conoscenza può essere fonte di sofferenza, ma è anche vero che è condizione necessaria (ma, ahimè, non sufficiente) per il darsi della saggezza, e la saggezza è ars vivendi, non un semplice insieme di nozioni e di conoscenze sterili.

Per avere conoscenza, per essere saggi e, in definitiva, per vivere felicemente, Voltaire fa scuola: il faut cultiver notre jardin ("dobbiamo coltivare il nostro orto"). In altre parole, chi si fa i fatti suoi campa meglio. Questa è la mia personalissima risposta alla domanda posta da DJ mentre scrivevo questo post, riguardo l'individualismo. Sì, l'individualismo, se non lo intendi come una sregolata egolatria o uno spregiudicato egoismo, è sicuramente IL valore positivo per eccellenza: "Conosci te stesso".
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« Risposta #8 inserita:: 09 Maggio 2007, 11:31:35 »

AA, tralasciando il fatto che scrivi in un modo orribilmente retorico e usi più citazioni che virgole, voglio dare anch'io un modesto contributo alla discussione, riprendendo il tuo post, che finisce con "conosci te stesso".

Bene, non voglio parlare di quell'obesaccio di aristotele, ma voglio parlare di me stesso.

Io, ora come ora, non credo di essere felice, non credo di essere nemmeno infelice. Trovo che la vita sia faticosa, troppo faticosa e vorrei solo dormire.

Per anni mi sono arrovellato su come seguire quell'impulso che mi portava a scoprire il cuore delle cose, mi spingeva all'introspezione, e mi allontanava dagli altri, che non reputavo capaci di tanto.

A questo la mia presunzione ha dato il nome di intelligenza. Forse per egoismo, forse per una qualche ragione più stupida, l'ideale che inseguivo io era intelligente, quello degli altri no.

Eppure [l'esempio dell'idraulico può aiutare] non possiamo fuggire da tutto e tutti, e chiuderci nella nostre torre d'avorio, e non possiamo nemmeno affidarci a una "stretta cerchia di persone" che consideriamo amici o affini a noi.

Il nostro conrpo (dj a parte) è uguale a quello di TUTTI altri, la nostra mente no.

Se quindi è normale provare simpatie o antipatie a livello intellettuale, dobbiamo tuttavia ricordarci che non possiamo "uscire" dal nostro corpo. Le nostre esigenze e quelle di qualsiasi essere umano saranno sempre le stesse. Anche solo i più vili istinti accomunano ogni uomo, e non vanno a mio avviso disprezzati.

Cosa accade ora? Accade che dopo anni e anni passati a farmi le seghe mentali e a leggere l'eneide invece di andare in discoteca, una sera vado a ballare con gli amici.

Però c'è qualcosa che non va. Perché loro si divertono e ballano bene e io mi sento un po' a disagio? Sono forse loro migliori di me? Ora hanno trovato 2 tipe e io no, in questo sono indubbiamente migliori di me.
Qualcuno potrebbe obiettare che ballare in discoteca è una cosa da zotici e non è intelligenza. Ma nessuno ci dà il diritto di trarre conclusioni così arbitrarie.

Quello che voglio dire, se l'avete già intuito, è che l'uomo per essere completo deve svilupparsi a tutto tondo, anche se purtroppo accade che lo sviluppo di una parte della propria personalità freni lo sviluppo dell'altra.

L'unico problema è che di questo si accorge solo chi ormai ha già sprecato troppo tempo a guardare dentro di sè. Chi ha una vita sociale intensa non ha troppo tempo per pensare, e quindi, come un ipotetico animaletto, non avvertirà la propria incompletezza. Ma chi sta meglio, io o lui?
Io sono incompleto, so di esserlo, so anche che cambiare mi costerebbe fatica ed è uno sforzo che non mi sento in grado di fare. E ciononostante ho sempre gli stessi istinti di cui parlavo prima, comuni a tutti noi, che mi ricordano che non posso fare a meno di relazionarmi con gli altri, anche se mi costa immensa fatica. Qualsiasi cosa, un cenno, un saluto, innesca in me una serie di calcoli e considerazioni d'opportunità su come disporsi alla situazione. E' una sensazione orribile, dal mio punto di vista. E non posso far nulla per ovviare ad essa. Posso tentare di rinnegare me stesso e tutto quello che sono diventato fino ad ora, ma siamo sicuri che funzioni? Io credo che sia impossibile cambiare completamente, "spegnere il cervello".

Fattosta che chi non sa di essere incompleto non si porrà mai il problema di diventarlo, quindi crederà di esserlo. Quindi, nel suo microcosmo starà bene. Certo, potrà avere i più vari problemi materiali, ma non si sentirà messo in discussione così a fondo come mi sento io.

Per finire, scriverei ancora ma devo uscire al momento, non è corretto secondo me parlare di crisi di valori, secondo me si tratta più di un appiattimento, di una standardizzazione delle persone, che riduce le distanze tra esse rendendo più pressanti problemi come il mio, e impedendo, forse, l'eccellenza.
Ma questa situazione è un male? Non possiamo dirlo, possiamo solo constatarne l'esistenza e decidere se cercare di opporci ad essa oppure no.
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« Risposta #9 inserita:: 09 Maggio 2007, 13:10:28 »

"Retorico"? Il fatto che sia anche accompagnato da un orribilmente mi fa pensare che non sia esattamente un complimento :(


Citazione
Fattosta che chi non sa di essere incompleto non si porrà mai il problema di diventarlo, quindi crederà di esserlo. Quindi, nel suo microcosmo starà bene. Certo, potrà avere i più vari problemi materiali, ma non si sentirà messo in discussione così a fondo come mi sento io
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Parto da questa tua affermazione. Quel suo star bene nel suo microcosmo, come dici tu, non è paragonabile al tuo star bene. E non si tratta di felicità. Ti cito un tizio che probabilmente ti è ben noto:

Citazione
Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l'ignoranza, hanno deciso di non pensarci per rendersi felici.

L'unica cosa che ci consola dalle nostre miserie è il divertimento, e intanto questa è la maggiore tra le nostre miserie.

E non dirmi che le citazioni sono un male, perché non cito per bullarmi ("Ah-ha io l'ho letto e tu no!"), ma perché 1) c'è chi si è già espresso molto meglio di me, quindi non vedo niente di male nel far riferimento a lui; 2) c'è chi si è interrogato più a lungo e più a fondo sull'argomento del quale stiamo parlando, quindi amo l'idea di potermi confrontare anche con lui e di imparare tutto quel che posso dalla sua esperienza :O
Detto questo, riprendo il discorso di prima: star bene non pensando a niente non è un vero e proprio star bene, ma un non-stare-male. E ovviamente ognuno è libero di scegliere come vuole stare, ci mancherebbe altro. Anzi, io ho pure detto che ognuno dovrebbe farsi i fatti suoi e preoccuparsi di migliorare prima sé stesso che gli altri. E' per questo che standomene a casa a leggere l'Eneide mentre c'è chi va in discoteca non mi preoccupo neanche lontanamente di pensare cose come "Eh, Tizio è andato in discoteca, che idiota! Io sì che sono veramente intelligente!". E se qualcuno pensa una cosa simile, vuol dire che ha letto troppo Leopardi ed ora pensa che emarginato = Genio incompreso e "integrato" = rozzo e cretino. Ma sia io che te sappiamo benissimo che le cose non stanno propriamente così. Qualsiasi idiota (beh, magari non proprio qualsiasi) può prendersi l'Eneide il sabato sera e dire agli amici "Eh no, oggi non posso uscire perché resto a leggermi l'Eneide. Come sono figo 8)!!! [cito Gaber, da Il Comportamento: "...e se invece sto leggendo Hegel mi concentro, sono tutto preso. Non da Hegel, naturalmente, ma dal mio fascino di studioso!"], e qualsiasi persona intelligente può andare in discoteca ad apatizzare per una serata intera. Ma una persona intelligente, se non ama le discoteche (per l'ambiente e/o per la musica) e se non ama ballare, non ha motivo di andare a bruciare 2 o più ore della sua vita guardando un bicchiere semi-vuoto al tavolino. Non dirmi che è per "seguire la compagnia e non chiudersi nella torre d'avorio", perché se in discoteca non balli sarà difficile instaurare una conversazione qualsiasi, anche sul bel fondoschiena della tizia che ti sta ballando davanti. E non (tanto) per l'idiozia delle persone che ti stanno intorno, ma semplicemente per il volume della musica (e per il fatto che tanti vanno in discoteca per ballare, pochi per parlare).
Non ho detto che ballare o andare in discoteca è da zotici tout court, ma che è da stupidi andare in discoteca per restare seduti al tavolino a girarsi i pollici e cercare argomenti di conversazione incredibilmente stupidi (dei quali non ce ne può fregar di meno) perché non siamo in grado di sopportare nemmeno il nostro silenzio. Praticamente ho ripetuto quel che ha detto Davk all'inizio del topic:

Citazione
queste persone tra loro parlano solo di altre persone dello stesso gruppo, delle relazioni tra queste e dell'immancabile "evento" che quasi come una necessità si ripresenta, eclatante come una coppia che si spezza o un'altra che si forma, a fomentare nuovi discorsi e nuovi eventi per le due settimane successive. Così il sabato sera passa, tra una birra e una sigaretta, non nell'apatia o nel distacco, che in certi casi possono avere senso, ma nello sforzo disumano di provare interesse per cose assolutamente futili come la maglia e la fidanzata nuova dell'amico; non tranquillo, ma vuoto.

Tu mi parli di conclusioni arbitrarie, ma le mie conclusioni arbitrarie le ho tratte dopo essermi confrontato con numerose altre persone che avevano tratto le loro conclusioni arbitrarie. E non parlo solo di Seneca e Aristotele, ma anche di gente che in discoteca ci va, eh. Adesso ti svelo il significato che ho letto dietro la frase di DJ, che se voleva dire quel che ho capito pensa sulla mia stessa lunghezza d'onda.

Citazione
Una generazione svogliata che si rende e che è resa svogliata. I nostri mali sono il volemose bene e i compromessi, il voler ostentare diplomaticità quando forse servirebbe una dittatura nei propri sentimenti e una chiarezza nel proprio essere.

Il problema dell'andare in discoteca ed annoiarsi è proprio dovuto a questo. Al fatto che ostentiamo diplomaticità quando dovremmo chiarirci nel nostro essere. Al fatto che siamo duramente afflitti dal volemose bene. Anche a me è capitato di andare in discoteca e strarompermi le scatole, perché non mi piace ballare e non mi piace la musica che c'è. L'ho fatto una volta, l'ho fatto due volte e poi ho capito che il problema era il volemose bene. Se non ti piace la discoteca e non ti piace ballare, è inutile che segui i tuoi amici per il "maddai, si fa per stare insieme!" e per non sentirti un asociale (o per non sentirti dire che lo sei). Perché poi tu resti seduto a chiederti "Ma chi diavolo me l'ha fatto fare?" e gli altri ballano belli tranzimanzi.
E' possibile volersi bene anche senza dover essere l'uno l'ombra dell'altro. Se vai al bagno non devo seguirti solo perché ti voglio bene (o almeno questo vale, di norma, per i ragazzi. Per le ragazze sembra essere il contrario, ma sorvoliamo :X), come non devo seguirti se vai a ballare in discoteca e a me non piace quell'ambiente.
Non è questione di intelligenza andarci o meno, ma è questione di intelligenza andarci se ti piace, non andarci se non ti piace. Sicuramente qualche volta si può giungere ad un "compromesso", ma dipende da quanto ti diverti lì dentro.
Tempo fa ho letto una geniale raccolta di aforismi di un tal Gracian Baltasar Y Morales (solo perché DJ mi ha detto che Schopenhauer ha amato un suo romanzo 8)), e mi spiace non averlo tra le mani per poterti citare un paio di pezzettini geniali. In una pagina diceva, in sintesi, "Stattene per i fatti tuoi, perché è da idioti mescolarsi alla folla" e in quella dopo diceva "Vedi di non fare l'asociale, perché solo gli idioti non riescono ad integrarsi". Ha ragione in tutti e due i casi. Integrarsi fino ad appiattire le differenze ed annullarsi totalmente è da idioti, ma è da idioti (o ancor peggio da inetti) non sapersi trovare bene da nessuna parte e in compagnia di nessuno. Adesso ne approfitto per rispondere anche alle altre obiezioni: so benissimo che siamo anche corpo, ed è per questo che ho appena detto quello che ho detto. In un modo o nell'altro, ci fa piacere vivere in società, e più siamo intelligenti, più riusciamo a godere della compagnia altrui pur senza esserne dipendenti. La società è un po' come le droghe leggere, secondo me: è piacevole, ma se presa a dosi elevate diventa dannosa per il cervello. Allora il segreto sta nel sapersi contenere e nell'assumerle quanto basta per divertirsi senza uccidere i propri neuroni :D

Alla fine chiedi se l'appiattimento è un male. Dici che non possiamo dirlo.
Secondo me è impossibile non dire che è un male, perché distrugge le differenze, ed il mondo è interessante solo finché ci sono differenze. Se fossimo appiattiti anche noi non avremmo bisogno di stare qui a discutere. Davk avrebbe postato dicendo "Ehi, ho visto Palle al balzo, cheffigo!" e ci sarebbero stati 30 o 40 post di "Sì, che bello!". La Filosofia ed il confronto ci obbligano a pensare, e nascono solamente quando c'è un tizio che si alza in piedi e dice "A!", e allora se ne alza in piedi un secondo e dice "Non-A!". Se sono dei cretini finisce in rissa, se sono delle persone intelligenti si apre un dialogo (che è molto più interessante del dialogo che può esserci tra due persone che la pensano alla stessa maniera e si danno ragione da sole).


Credo di aver risposto a tutto il tuo post :*
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« Risposta #10 inserita:: 09 Maggio 2007, 13:22:01 »

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Per finire, scriverei ancora ma devo uscire al momento, non è corretto secondo me parlare di crisi di valori, secondo me si tratta più di un appiattimento, di una standardizzazione delle persone, che riduce le distanze tra esse rendendo più pressanti problemi come il mio, e impedendo, forse, l'eccellenza.
Ma questa situazione è un male? Non possiamo dirlo, possiamo solo constatarne l'esistenza e decidere se cercare di opporci ad essa oppure no.
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se porta questa infelicità, questa depressione, questa quel che diamine vi pare, non credo sia un bene, almeno a breve termine. per il resto, la mia idea è bene o male quella del quote.

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Se fai un sondaggio tra i tuoi coetanei ti renderai conto che il numero di quelli che il sabato sera preferiscono leggersi l'Eneide o la Critica della ragion pura a casa (o perché no, in gruppo) piuttosto che andare a bere/ballare in un qualsiasi pub/discoteca è bassissimo, e forse è perfino uguale a zero.
mi pare anche normale, ci sono tanti momenti per leggere un libro, perché togliersi quel poco di compagnia che ci può essere in un Pub di sabato sera? dopotutto, per leggere c'è sempre tempo, per uscire il sabato..si fa solo il sabato :D


insomma, secondo me il problema è riassumibile, in poche parole, nel fatto che i miei coetanei (e anche i più grossi), sono sempre più annoiati, sempre più pigri, raramente con il desiderio di scoprire qualcosa di nuovo, senza curiosità. Si affidano semplicemente al sentito dire e alla moda. si, reputo la maggior parte dei ggiovani delle persone incredibilmente superficiali e conformiste. (ovviamente parlando in modo moolto generale, visto che so che c'è anche gente che così non è)


(il post è scritto dal punto di vista di una persona abbastanza asosiale && il post potrebbe contenere banalità && è molto generale)
« Ultima modifica: 09 Maggio 2007, 13:22:34 da Mark Renton » Registrato

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« Risposta #11 inserita:: 09 Maggio 2007, 14:25:44 »

Di fronte a tali risposte monstruum va innanzitutto posto un complimento per la voglia di scrivere.. e per l'elevato livello degli argomenti che hai portato. Vedo che non difetto nella sintesi (e infatti hai espresso poi in 828,9 righe e in termini molto migliori ciò che io ho buttato lì in due righe :D)

Restano però alcuni dubbi, alcune questioni, forse finanche alcune obiezioni o parziali correzioni che secondo me sono necessarie.

Citazione
Immagina che qua ci sia tutto il lungo discorso di Montaigne

Non trovi che il deridere o il ghignare addosso a qualcuno provochino in questo una reazione di naturale diffidenza o comunque che vada contro quel naturale rapportarsi di cui l'uomo necessita? Diogene, citato da Montaigne, non fondò a differenza degli altri filosofi una scuola di pensiero, per esempio: non trovi che ciò sia parte dell'isolamento che poi giustamente denigri poche linee più in basso?


Il tuo discorso sulle motivazione scolastiche è idealmente quotato. Che quella dell'idraulico sia una conoscenza degna di egual rispetto siamo tutti d'accordo, almeno spero: la conoscenza manuale richiede tanta fatica (se non più) come quella morale, e non credo qualcuno avesse intenzione di affermare il contrario.
Idem per il discorso sulla storia.

Citazione
io rispondo che è possibile vincere ed eliminare l'indifferenza, impossibile eliminare l'egoismo. Semplicemente perché qualsiasi sensazione investa direttamente la nostra persona è molto più viva e sconvolgente di quel che non ci riguarda direttamente. Ti fa più male sapere che ti sei appena tagliato un dito piuttosto che sapere che in Cina, in questo preciso istante, è morto un Tizio qualunque (perché ora è sicuramente morto qualcuno). Ogni volta che mi sono trovato ad esporre questa mia visione del mondo a qualcuno mi sono sentito dire tutto ed il contrario di tutto, ma in particolare ricordo: "sei cinico", "sei egoista", "fai schifo", "che schifo", "sei un nichilista", "non è vero". Tuttavia quando ho fatto notare a chi mi diceva "non è vero" che in questo istante è morta una seconda persona e noi stavamo continuando a conversare beatamente, senza fermarci a piangerla o a riflettere sulla sofferenza altrui, la conversazione è stata bruscamente interrotta. Non credo che tutti gli uomini siano cattivi per natura, ma sicuramente la maggior parte di essi è naturalmente (sì sì, è per via del desiderio di conservare la nostra vita ed i nostri beni impostoci dalla Natura) incline all'egoismo. Non nego la realtà dell'empatia, della compassione e quel che vuoi tu, ma resto fermamente convinto che è più facile e più naturale pensare a noi stessi che agli altri (se non in rapporto a noi). Da qualche parte (mi sembra ne La filosofia del boudoir, ma non ci giurerei) Sade (che non per niente è colui che ha dato il nome al sadismo) afferma che sentiamo molto di più il più piccolo dei piaceri che non la più grande delle disgrazie altrui (cioè mi "impressiona" di più mangiare un buon gelato che non sapere che la popolazione del Guatemala è stata sterminata da un paio di pazzi assassini, per esempio). Trovo che non sia troppo distante dalla realtà dei fatti, per quanto la sua visione sia sicuramente esagerata e distorta.

E' qua che mi sento di muovere la maggiore critica al tuo pensiero: sono sostanzialmente concorde con quanto hai scritto, hai giustamente sottolineato l'importanza di quel naturalmente, ma poi con mio discreto stupore hai scordato il suo ovvio contraltare: razionalmente. L'uomo non è solo istinto, deve mediarlo con la ragione. Una volta che l'istinto mi fa compiere qualcosa che ritengo razionalmente errato, cerco di limitarlo. Sono d'accordo con i tuoi esempi, che capisco e giustifico. Eppure, non sarebbe meglio se dopo l'istinto di autoconservazione che mi fa godere del mio piacere di essere ancora in vita, appagassi la ragione che vorrebbe che altri miei simili possano godere dello stesso sentimento? Pertanto trovo più logico in questo compromesso in me come essere umano non ghignare di fronte agli altri, ma replicare con una compassione alla tedesca, portandoli al mio "stato" o facendomi portare al loro, ma in generale con curiosità e tentando una comunicazione positiva, senza la negatività o l'isolamento che il ghigno porta con sè. Trovo più logico appunto la compassione alla tedesca, la collettività, che si attua più facilmente col gesto del piangere (ma non necessariamente, io sceglierei proprio un terzo gesto che funga da mediatore: un sorriso?), come il già plurimamente citato Leopardi cercava nelle Ginestre.

Per quel che concerne il tuo discorso sulla Felicità.. Non ricordo chi con chiarezza (Epicuro?) parlava di totale apatia per ottenerla: gli uccelli e gli ignoranti sarebbero apatici e dunque felici; è anche mia convinzione che sia una felicità illusoria.. ma non mi pare che ci siano prove tangibili, nel senso che anche la frase di Aristotele che citi mi sembra un assioma poco dimostrabile.

Se citi ancora una volta Schopenhauer ti spano l'ano.

Citazione
E Montaigne, con Tibullo, afferma: "in solis sis tibi turba locis" ("Nella solitudine, sii per te stesso una folla").
E trovo che l'unico modo per essere una folla per noi stessi sia la conoscenza e la consapevolezza di sé stessi sopra menzionate, o l'autarchia. Insomma, chi dice cultura e intelligenza (dalle quali sono partito) dice autarchia, dice autosufficienza, dice perfetta armonia con sé e con il mondo nel quale si vive. E' vero, come diceva Leopardi, che la conoscenza può essere fonte di sofferenza, ma è anche vero che è condizione necessaria (ma, ahimè, non sufficiente) per il darsi della saggezza, e la saggezza è ars vivendi, non un semplice insieme di nozioni e di conoscenze sterili.

Dubbio lieve: parli di "armonia con sé e con il mondo nel quale si vive", ma come puoi parlare di questo senza trattarne? Voglio dire, la conoscenza e la consapevolezza di noi stessi sono qualità in noi, e se noi siamo in armonia con noi stessi come possiamo anche esserlo col mondo? E' un punto che mi è risultato poco chiaro, ammetto :°

(piccola parentesi:
Citazione
aforismi di un tal Gracian Baltasar Y Morales (solo perché DJ mi ha detto che Schopenhauer ha amato un suo romanzo 8))

Dichiarò che "El Criticón" era il suo libro preferito - ma in generale tutta la visione barocca spagnola credo gli piacesse e ti piacerebbe molto)
« Ultima modifica: 09 Maggio 2007, 14:26:50 da Devotion » Registrato



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« Risposta #12 inserita:: 09 Maggio 2007, 15:22:16 »

Può sembrare una mossa di bassa lega quella di rispondere a voi che citate un filosofo ogni due righe riferendosi soprattutto a fatti ed esperienze personali. La mia idea è che anche Montaigne e Schopenhauer siano partiti, ad ogni modo, dalle loro esperienze di vita e perciò non credo ci siano problemi se io preferisco invece parlare solamente di quel che penso senza tirarli in ballo troppo spesso. Il mio post non verrà bello come il vostro, ma lo pubblico lo stesso (anche perchè mi avete tirato in causa :* )



Riguardo al discorso sull'individualismo mi trovo vicino alle posizioni espresse qua sopra da Devotion. In questo periodo io mi sto accorgendo di aver sempre vissuto nel più totale egoismo e sto cercando, con molta fatica, di uscire da questa situazione. E pur accorgendomi di quanto la mia natura sia portata a mirare ad obbiettivi che si risolverebbero a mio favore per ogni cosa che dico o faccio, penso che l'utilizzo della ragione per comportarsi in modo diverso sia possibile e sia, entro certi limiti, una scelta obbligata e necessaria, anche solo per sentirsi una persona migliore o per rendere felice qualcun altro.
Parlando in generale, penso anche io che ognuno di noi sia naturalmente incline all'egoismo, ma credo che sia possibile combattere per certi versi questa inclinazione e che si debba farlo. Kant diceva di considerare gli altri come "scopo" e non come "mezzo", e, tornando al discorso della gioventù infelice, noto ormai senza alcun dubbio che sono pochissimi a pensare agli altri in questi termini e che non è una cosa naturale, ma è secondo me lo stesso importante. Non posso dire quanto tutto ciò possa giovare alla nostra felicità, in realtà, e su questo forse potrò esprimermi tra qualche mese (o, più probabilmente, mai...).
Con questo non intendo parlare di perdita di valori, perchè sono convinto che la situazione 50 (o 500) anni fa fosse la stessa.



Riguardo ai post precedenti, invece, sono più d'accordo con AA che con _. Il fatto di non sapersi divertire in discoteca non è sintomo di incompletezza, ma di diversità. La diversità è importante e non è negativa; io stesso fino a qualche tempo fa pensavo che avrei dovuto tentare di andare in discoteca, relativamente invidioso di chi sapeva andarci e divertirsi in un modo che a me sembrava fantastico. Ma poi, pensandoci sopra, e ricordando l'unica volta che ci sono stato (e che sono finito per stare seduto tutto il tempo ad un tavolino a guardare una coca cola vuota finita e a tapparmi le orecchie), ho capito che quel posto non fa per me e che non ha senso cercare di cambiarmi e andare contro il mio carattere per una cosa del genere. Per questo non mi sento incompleto (non ora, almeno... anche se forse potrebbe accadere...), e non mi sento incapace di parlare o avere rapporti sociali con chi si trova bene in quei luoghi, perchè le difficoltà legate a cose del genere sono facilmente aggirabili se c'è la volontà e ci si trova bene insieme. Certo, se le differenze riguardano ogni singolo aspetto della vita umana e non c'è assolutamente nulla in comune, allora forse il parlarsi diventa difficile, ma non è certo necessario socializzare col mondo intero (come alcuni invece fingono di voler fare).
Penso che si debba trovare la propria identità, cioè capire ciò che ci piace e ciò che non ci piace, e imparare a vivere felici con se stessi; questo non vuol dire un totale isolamento dal mondo, ed oramai sono abbastanza convinto del fatto che sia necessario avere degli amici, socializzare, uscire, e scendere perfino a compromessi (cosa che sto iniziando a fare io stesso per la prima volta...), ma non ha senso arrivare a fare cose che non ci piacciono assolutamente per farlo.
L'infelicità di molti ragazzi e ragazze intelligenti (ma non chiedetemi cosa sia l'intelligenza, perchè non lo so) che ho conosciuto recentemente, e nei quali tendo ad annoverarmi anche se ora non sono in crisi come tempo fa, è secondo me dovuta al fatto che si sforzano di mescolarsi a persone molto diverse da loro, con le quali hanno poco in comune a parte i naturali piaceri che sono comuni a quasi tutti (mangiare, bere, soddisfare i bisogni sessuali, etc.), oppure al totale isolamento proprio per evitare gruppi con cui non ci si trova. Io credo (o forse dovrei dire "spero") che un giusto compromesso tra le due cose sia possibile e che chiunque possa trovare un ambiente dove si trovi bene, mantenendo la sua identità e potendo anche prendere le distanze dagli altri.
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« Risposta #13 inserita:: 09 Maggio 2007, 15:53:43 »

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Non trovi che il deridere o il ghignare addosso a qualcuno provochino in questo una reazione di naturale diffidenza o comunque che vada contro quel naturale rapportarsi di cui l'uomo necessita? Diogene, citato da Montaigne, non fondò a differenza degli altri filosofi una scuola di pensiero, per esempio: non trovi che ciò sia parte dell'isolamento che poi giustamente denigri poche linee più in basso?
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Uhm, non proprio. Innanzitutto è da leggere metaforicamente, non letteralmente. Quando esco di casa non mi scompiscio per il fatto che c'è gente che è completamente ottusa, e se anche mi venisse da sorridere nel vedere certi comportamenti ridicoli, eviterei di svelare il vero motivo del mio sorriso, proprio perché non sarebbe conveniente mettersi a spiegare al primo che passa che merita di essere deriso (e nemmeno compianto). Si tratta solo di ridersela sotto i baffi, senza provocare diffidenza o rabbia in chi viene deriso.
E Diogene non ha mai avuto bisogno di fondare una scuola di pensiero, perché era un cinico. E' come se tu chiedessi ad ogni epicureo di fondare una scuola tutta sua, quando non ne ha la necessità. Vive nascosto e per i fatti suoi, libero di modificare il pensiero del maestro Epicuro per adattarlo meglio alle sue esigenze, dato che né l'epicureismo né il cinismo avevano la rigidità e i dogmi che poteva avere la setta dei Pitagorici.
E' per questo che denigro l'isolamento di CHI NON SA mettersi in società pur desiderandolo, mentre tengo in maggior conto (anche se non è il mio modello di vita) l'isolamento di Diogene o di Eraclito. Il primo è un inetto, i secondi sono dei filosofi che hanno consapevolmente scelto l'isolamento. Leopardi è in una via di mezzo, ma è forse più vicino al primo modello che al secondo.


Citazione
E' qua che mi sento di muovere la maggiore critica al tuo pensiero: sono sostanzialmente concorde con quanto hai scritto, hai giustamente sottolineato l'importanza di quel naturalmente, ma poi con mio discreto stupore hai scordato il suo ovvio contraltare: razionalmente. L'uomo non è solo istinto, deve mediarlo con la ragione. Una volta che l'istinto mi fa compiere qualcosa che ritengo razionalmente errato, cerco di limitarlo. Sono d'accordo con i tuoi esempi, che capisco e giustifico. Eppure, non sarebbe meglio se dopo l'istinto di autoconservazione che mi fa godere del mio piacere di essere ancora in vita, appagassi la ragione che vorrebbe che altri miei simili possano godere dello stesso sentimento? Pertanto trovo più logico in questo compromesso in me come essere umano non ghignare di fronte agli altri, ma replicare con una compassione alla tedesca, portandoli al mio "stato" o facendomi portare al loro, ma in generale con curiosità e tentando una comunicazione positiva, senza la negatività o l'isolamento che il ghigno porta con sè. Trovo più logico appunto la compassione alla tedesca, la collettività, che si attua più facilmente col gesto del piangere (ma non necessariamente, io sceglierei proprio un terzo gesto che funga da mediatore: un sorriso?), come il già plurimamente citato Leopardi cercava nelle Ginestre.
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Non ho scordato il suo contraltare, perché secondo me i due mezzi portano ad uno stesso fine. Naturalmente e razionalmente parlando siamo egoisti. Per la precisione, anzi, il puro istinto (irrazionale) e la pura ragione non possono spingerci ad aiutare gli altri. Questo perché trovo che, sempre razionalmente, sia impossibile desiderare esclusivamente il bene degli altri. La ragione non mi spinge a desiderare che gli altri possano dividere con me il mio stesso bene: ANZI, AL CONTRARIO! Razionalmente parlando mi conviene tenere tutti i beni tutti per me. Forse con quel razionalmente intendi quello che Schopenhauer (eh, mi spiace :P) critica in Kant, e che avevo citato un po' di tempo fa nella mia firma:

Citazione
Dunque, la massima che posso volere sia seguita da tutti coloro che agiscono, sarebbe il vero principio morale. Il mio poter volere è il cardine sul quale gira la massima impartita. Ma, a rigore, che cosa posso volere e che cosa no? Per poter determinare che cosa posso volere a proposito di quanto si è detto, ho evidentemente bisogno di un altro regolamento: e soltanto con questo avrei, simile a un ordine suggellato, la chiave della data istruzione. Ma dove lo trovo questo regolamento? Certo non altrove che nel mio egoismo, in questa norma prossima, sempre pronta, originaria e viva in ogni atto di volontà, che su qualunque principio morale ha in più almeno l'ius primi occupantis. L'istruzione contenuta nella suprema norma di Kant per trovare il vero e proprio principio morale si basa sulla tacita promessa che io possa volere soltanto ciò che è il meglio per me. Ora, siccome stabilendo una massima che sia da seguire universalmente devo considerarmi necessariamente non solo la parte sempre attiva, ma anche quella eventualmente e talvolta passiva, il mio egoismo decide, sotto questo angolo visuale, per la giustizia e l'amore del prossimo; non perché abbia voglia di esercitarli, ma perché ne vuol fare l'esperienza, come quell'avaro che dopo aver ascoltato una predica sulla beneficenza esclama: "Che svolgimento profondo, e come bello! Quasi quasi andrei a mendicare".

Da questa spiegazione risulta chiaramente che la fondamentale norma kantiana non è, come egli asserisce continuamente, un imperativo categorico, bensì in effetti un imperativo ipotetico, in quanto è fondato tacitamente sulla condizione che la norma da stabilire per le mie azioni, mentre la elevo a norma universale, diventi norma anche per me in quanto passivo, e a questa condizione, essendo io eventualmente la parte passiva, non possa certo volere l'ingiustizia e la mancanza d'amore. Se però annullo questa condizione e, fiducioso, poniamo, nelle mie superiori forze spirituali e fisiche, mi figuro sempre soltanto come parte attiva e non mai passiva nella scelta della massima universalmente valida, posso premettendo che non esista alcun altro fondamento per la morale tranne quello kantiano, volere l'ingiustizia e la mancanza d'amore come massima universale.

Capisci cosa intendo? Se noi potessimo porci come parte puramente attiva del torto, sia razionalmente che istintivamente, non avremmo niente da obiettarci. Il sentimento del bene e del male nasce dal fatto che a volte siamo dalla parte di chi fa il male, a volte siamo dalla parte di chi lo subisce. E allora istinto e ragione giocano insieme per farci capire che non è bello subire il male, quindi sarebbe bene evitare di torturare il mio prossimo, se non voglio subire la stessa cosa. Pascal dixit: Due eccessi: escludere la ragione, non ammettere che la ragione. Secondo me è questo il segreto della morale :D

Se ho capito cosa intendi con compassione alla tedesca, sappi che è proprio quello che hanno detto Montaigne e Seneca! E a dir la verità anche Diogene, anche se in un modo un po' meno carino: Anche il sole penetra nelle latrine, ma non ne è contaminato (da Wikipedia).
Solo che devi anche considerare che per portare gli altri al mio stato devo trovare persone disponibili. Siamo sempre pronti a convertire gli altri alle nostre abitudini e a ciò che ci sembra giusto, ma raramente siamo disposti a metterci DAVVERO in discussione e a rivoluzionare completamente le nostre idee. E' per questo che, se ci accorgiamo che non siamo capaci di metterci in discussione, l'unica soluzione possibile è conoscerci meglio e migliorarci per quanto ci è possibile, coltivando il nostro orto :D


Citazione
Per quel che concerne il tuo discorso sulla Felicità.. Non ricordo chi con chiarezza (Epicuro?) parlava di totale apatia per ottenerla: gli uccelli e gli ignoranti sarebbero apatici e dunque felici; è anche mia convinzione che sia una felicità illusoria.. ma non mi pare che ci siano prove tangibili, nel senso che anche la frase di Aristotele che citi mi sembra un assioma poco dimostrabile.
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Assolutamente no. Secondo me, per quanto ci si possa sforzare, è umanamente impossibile trovare negli antichi una visione del mondo simile a quella che tu stai attribuendo ad Epicuro. Ti ricordo che Epicuro è il geniale inventore del calcolo dei piaceri e della filosofia come quadrifarmaco: chi meno di lui avrebbe potuto sostenere che la felicità si trova nella stupida ignoranza che caratterizza le bestie? L'uomo ha una dignità infinitamente superiore, e può raggiungere una felicità autentica solamente con la consapevolezza della distanza che corre tra la sua condizione e quella degli animali. Epicuro parte dall'assioma aristotelico che secondo te è poco dimostrabile (eccerto, è un assioma :D).


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Dubbio lieve: parli di "armonia con sé e con il mondo nel quale si vive", ma come puoi parlare di questo senza trattarne? Voglio dire, la conoscenza e la consapevolezza di noi stessi sono qualità in noi, e se noi siamo in armonia con noi stessi come possiamo anche esserlo col mondo? E' un punto che mi è risultato poco chiaro, ammetto :°
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A questo rispondo con quello che secondo me è il passo più bello dell'Elogio della Follia, di Erasmo.

Citazione
Ditemi un po', potrà amare qualcun altro uno che odia se stesso? Potrà accordarsi con altri chi è in disaccordo con se stesso? Potrà dar piacere ad altri chi è un peso e un fastidio per se stesso? Penso che nessuno oserà affermarlo, se non è più pazzo della pazzia in persona.
Ma se si elimina l'irragionevolezza, nessuno potrà più sopportare gli altri, anzi ognuno farà schifo persino a se stesso, disprezzerà le proprie qualità ed azioni, sarà odioso a se stesso.

Chi è davvero intelligente deve riuscire a capirsi, amarsi e migliorarsi confrontandosi con se stesso e col mondo, e viceversa deve riuscire a capire, amare e migliorare (o magari ignorare) il mondo confrontandosi con il medesimo e con se stesso. Dev'essere un circolo virtuoso, che secondo me non è stato minimamente scoperto dalla gioventù di oggi (ma a dir la verità neanche da quella del passato, eh). E' questo il motivo dell'infelicità che Pasolini, come un niubbazzo, attribuisce ai padri cattivi e al fascismo.




...e ora mi accorgo che ha risposto Pig, ma posto comunque. Poi leggerò il suo post e gli risponderò in seguito, se ce ne sarà bisogno :D
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« Risposta #14 inserita:: 09 Maggio 2007, 16:39:22 »

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Uhm, non proprio. Innanzitutto è da leggere metaforicamente, non letteralmente.
Grazie al cazzo, non ti ci vedo a spuntare dietro le siepi urlando a un palestrato tamarro "SEI UN PIRLA DEL CAZZO!" ghignando spudoratamente. Rischieresti di dirci se davvero esiste una qualche metafisica. Credo cmq che la vera domanda fosse la prima.. anche se non lo fai apertamente non è meno dannoso. Secondo me non resta la giusta reazione, perché come ti ho evidenziato non aiuta alla cooperazione.

Citazione
Non ho scordato il suo contraltare, perché secondo me i due mezzi portano ad uno stesso fine. Naturalmente e razionalmente parlando siamo egoisti. Per la precisione, anzi, il puro istinto (irrazionale) e la pura ragione non possono spingerci ad aiutare gli altri. Questo perché trovo che, sempre razionalmente, sia impossibile desiderare esclusivamente il bene degli altri. La ragione non mi spinge a desiderare che gli altri possano dividere con me il mio stesso bene: ANZI, AL CONTRARIO! Razionalmente parlando mi conviene tenere tutti i beni tutti per me.

A dirla tutta proprio no, perché qualora non tutti, ma la maggioranza la pensasse come quanto hai detto, probabilmente vivremmo in uno stato di totale anarchia. Non solo: saremmo in continua guerra l'uno contro l'altro, non appena il mio volere cozzasse contro il tuo. Qualora vi sia un difetto nella natura, la ragione deve fare tutto ciò che può per curarlo, non per assecondarlo.

Citazione
Solo che devi anche considerare che per portare gli altri al mio stato devo trovare persone disponibili. Siamo sempre pronti a convertire gli altri alle nostre abitudini e a ciò che ci sembra giusto, ma raramente siamo disposti a metterci DAVVERO in discussione e a rivoluzionare completamente le nostre idee. E' per questo che, se ci accorgiamo che non siamo capaci di metterci in discussione, l'unica soluzione possibile è conoscerci meglio e migliorarci per quanto ci è possibile, coltivando il nostro orto :D

Concordo pienamente, e non mi sembra di aver affermato il contrario.. anzi onestamente mi pareva una parentesi non troppo necessaria, ma vabbè x)


Citazione
Assolutamente no. Secondo me, per quanto ci si possa sforzare, è umanamente impossibile trovare negli antichi una visione del mondo simile a quella che tu stai attribuendo ad Epicuro. Epicuro parte dall'assioma aristotelico che secondo te è poco dimostrabile (eccerto, è un assioma :D).

Mea Culpa. (Wikipedia): L'apatia (apátheia, απάθεια), o impassibilità, è la virtù per eccellenza dello stoico e consiste nell'assenza di passioni (páthos). E gli animali allora non provando emozioni per natura non sarebbero naturalmente virtuosi?

Citazione
Chi è davvero intelligente deve riuscire a capirsi, amarsi e migliorarsi confrontandosi con se stesso e col mondo, e viceversa deve riuscire a capire, amare e migliorare (o magari ignorare) il mondo confrontandosi con il medesimo e con se stesso.

Ok, ora capisco e concordo.
« Ultima modifica: 09 Maggio 2007, 16:47:14 da Devotion » Registrato



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« Risposta #15 inserita:: 09 Maggio 2007, 16:42:01 »

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AA, tralasciando il fatto che scrivi in un modo orribilmente retorico e usi più citazioni che virgole, voglio dare anch'io un modesto contributo alla discussione, riprendendo il tuo post, che finisce con "conosci te stesso".

Bene, non voglio parlare di quell'obesaccio di aristotele, ma voglio parlare di me stesso.

Io, ora come ora, non credo di essere felice, non credo di essere nemmeno infelice. Trovo che la vita sia faticosa, troppo faticosa e vorrei solo dormire.

Per anni mi sono arrovellato su come seguire quell'impulso che mi portava a scoprire il cuore delle cose, mi spingeva all'introspezione, e mi allontanava dagli altri, che non reputavo capaci di tanto.

A questo la mia presunzione ha dato il nome di intelligenza. Forse per egoismo, forse per una qualche ragione più stupida, l'ideale che inseguivo io era intelligente, quello degli altri no.

Eppure [l'esempio dell'idraulico può aiutare] non possiamo fuggire da tutto e tutti, e chiuderci nella nostre torre d'avorio, e non possiamo nemmeno affidarci a una "stretta cerchia di persone" che consideriamo amici o affini a noi.

Il nostro conrpo (dj a parte) è uguale a quello di TUTTI altri, la nostra mente no.

Se quindi è normale provare simpatie o antipatie a livello intellettuale, dobbiamo tuttavia ricordarci che non possiamo "uscire" dal nostro corpo. Le nostre esigenze e quelle di qualsiasi essere umano saranno sempre le stesse. Anche solo i più vili istinti accomunano ogni uomo, e non vanno a mio avviso disprezzati.

Cosa accade ora? Accade che dopo anni e anni passati a farmi le seghe mentali e a leggere l'eneide invece di andare in discoteca, una sera vado a ballare con gli amici.

Però c'è qualcosa che non va. Perché loro si divertono e ballano bene e io mi sento un po' a disagio? Sono forse loro migliori di me? Ora hanno trovato 2 tipe e io no, in questo sono indubbiamente migliori di me.
Qualcuno potrebbe obiettare che ballare in discoteca è una cosa da zotici e non è intelligenza. Ma nessuno ci dà il diritto di trarre conclusioni così arbitrarie.

Quello che voglio dire, se l'avete già intuito, è che l'uomo per essere completo deve svilupparsi a tutto tondo, anche se purtroppo accade che lo sviluppo di una parte della propria personalità freni lo sviluppo dell'altra.

L'unico problema è che di questo si accorge solo chi ormai ha già sprecato troppo tempo a guardare dentro di sè. Chi ha una vita sociale intensa non ha troppo tempo per pensare, e quindi, come un ipotetico animaletto, non avvertirà la propria incompletezza. Ma chi sta meglio, io o lui?
Io sono incompleto, so di esserlo, so anche che cambiare mi costerebbe fatica ed è uno sforzo che non mi sento in grado di fare. E ciononostante ho sempre gli stessi istinti di cui parlavo prima, comuni a tutti noi, che mi ricordano che non posso fare a meno di relazionarmi con gli altri, anche se mi costa immensa fatica. Qualsiasi cosa, un cenno, un saluto, innesca in me una serie di calcoli e considerazioni d'opportunità su come disporsi alla situazione. E' una sensazione orribile, dal mio punto di vista. E non posso far nulla per ovviare ad essa. Posso tentare di rinnegare me stesso e tutto quello che sono diventato fino ad ora, ma siamo sicuri che funzioni? Io credo che sia impossibile cambiare completamente, "spegnere il cervello".

Fattosta che chi non sa di essere incompleto non si porrà mai il problema di diventarlo, quindi crederà di esserlo. Quindi, nel suo microcosmo starà bene. Certo, potrà avere i più vari problemi materiali, ma non si sentirà messo in discussione così a fondo come mi sento io.

Per finire, scriverei ancora ma devo uscire al momento, non è corretto secondo me parlare di crisi di valori, secondo me si tratta più di un appiattimento, di una standardizzazione delle persone, che riduce le distanze tra esse rendendo più pressanti problemi come il mio, e impedendo, forse, l'eccellenza.
Ma questa situazione è un male? Non possiamo dirlo, possiamo solo constatarne l'esistenza e decidere se cercare di opporci ad essa oppure no.
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Se tutto questo tuo discorso é riassumibile, più o meno, nella frase "L'ignoranza é forza e felicità", ti dico che ti stimo enormemente. :*
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« Risposta #16 inserita:: 09 Maggio 2007, 17:25:03 »

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A dirla tutta proprio no, perché qualora non tutti, ma la maggioranza la pensasse come quanto hai detto, probabilmente vivremmo in uno stato di totale anarchia. Non solo: saremmo in continua guerra l'uno contro l'altro, non appena il mio volere cozzasse contro il tuo.

No, perchè vivere in quel modo sarebbe un male per tutti. E la ragione (secondo Hobbes e altri, se proprio vogliamo tirare in ballo qualche filosofo) ha deciso che per vivere meglio anche in chiave solo egoistica è conveniente mettersi d'accordo con gli altri (che accetteranno proprio per lo stesso motivo).
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« Risposta #17 inserita:: 09 Maggio 2007, 17:55:12 »

Maledetto maialazzo! Mi ha anticipato proprio con un aspetto importantissimo dell'egoismo :X


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Grazie al cazzo, non ti ci vedo a spuntare dietro le siepi urlando a un palestrato tamarro "SEI UN PIRLA DEL CAZZO!" ghignando spudoratamente. Rischieresti di dirci se davvero esiste una qualche metafisica. Credo cmq che la vera domanda fosse la prima.. anche se non lo fai apertamente non è meno dannoso. Secondo me non resta la giusta reazione, perché come ti ho evidenziato non aiuta alla cooperazione.
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Qui ci siamo trovati d'accordo su msn, quindi ripeto brevemente: sia io che Montaigne siamo d'accordo nel dire che bisogna ridere (o sorridere, come preferisci), non deridere. E quando dico che bisogna ridere della condizione e delle idee degli uomini, non intendo dire che bisogna ridere solo degli altri, ma anche di sé, per affrontare la vita con più serenità e per offrirsi la possibilità di migliorare. E in fondo è sempre stato questo lo spirito bananico, no? Tu sei stato il primo a darti dell'obeso (e ora sei anche dimagrito), Davk è stato il primo a darsi del terrone e così via.


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A dirla tutta proprio no, perché qualora non tutti, ma la maggioranza la pensasse come quanto hai detto, probabilmente vivremmo in uno stato di totale anarchia. Non solo: saremmo in continua guerra l'uno contro l'altro, non appena il mio volere cozzasse contro il tuo. Qualora vi sia un difetto nella natura, la ragione deve fare tutto ciò che può per curarlo, non per assecondarlo.
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Veramente ho detto proprio il contrario, e ne sono convinto. La ragione fa tutto ciò che può per SFRUTTARLO a suo vantaggio, e non c'è niente di irrazionale o innaturale in questo.
Gli uomini sono per natura egoisti. Ognuno ricerca il proprio bene anche a scapito della vita dell'altro.
Cosa mi dice l'istinto? Uccidi e conquista ciò che puoi.
Cosa mi dice la ragione? Vacci piano, perché non puoi sempre stare dalla parte del carnefice. E' bene che tu pensi a prevenire piuttosto che a curare, e che ti assicuri una condizione decente anche nel caso in cui tu dovessi essere la vittima. Entra in società e fatti proteggere. Rinuncia ad una parte della tua libertà in cambio di protezione. Dai per ricevere.
E' per questo che la società non degenera nello stato di totale anarchia al quale fai riferimento. Ma il fatto che non ci sia una totale anarchia non vuol dire che non ci sia una continua guerra l'uno contro l'altro, attento.

Citazione

The system we learn says we're equal under law
But the streets are reality, the weak and poor will fall
Let's tip the power balance and tear down their crown
Educate the masses, We'll burn the White House down

Se l'uomo fosse come l'ha descritto Kant non avremmo bisogno di un altro Paradiso. Se l'uomo fosse come l'ha descritto Schopenhauer le cose sarebbero esattamente come sono adesso (o Hobbes, se proprio Schopenhauer non riesci a sopportarlo).


Citazione
Concordo pienamente, e non mi sembra di aver affermato il contrario.. anzi onestamente mi pareva una parentesi non troppo necessaria, ma vabbè x)
[div align=right][snapback]27910[/snapback][/div]

Ci tenevo a specificarlo perché altrimenti sembra davvero che io abbia in testa un modello di saggio-asceta-misantropo-autistico che deve nutrirsi solo di sé in quanto è un essere superiore, ma non è proprio così :P


Citazione
Mea Culpa. (Wikipedia): L'apatia (apátheia, απάθεια), o impassibilità, è la virtù per eccellenza dello stoico e consiste nell'assenza di passioni (páthos). E gli animali allora non provando emozioni per natura non sarebbero naturalmente virtuosi?
[div align=right][snapback]27910[/snapback][/div]

Assolutamente no! Naturalmente virtuoso è una contraddizione in termini! Un ossimoro davvero insopportabile.
Quel niubbazzo di Tommaso, riprendendo e approfondendo Aristotele, definisce la virtù un habitus operativus (abito operativo) [qui parlo di virtù in senso stretto, eh], ovvero una qualità che contraddistingue l'essere di una persona e che nasce da un esercizio continuo e CONSAPEVOLE. Per essere coraggioso (e lo dirà anche Montaigne), ad esempio, non basta un singolo atto di coraggio in battaglia. E' necessario dimostrare il proprio coraggio in guerra e fuori, quando si è stanchi e quando si è riposati, quando si ha tutto e quando non si ha nulla da perdere, ecc.
Allo stesso modo gli animali non sono apatici per scelta e per abitudine, ma solo perché sono nati troppo stupidi per provare emozioni e per AFFRONTARE i loro desideri. Hanno fame? Mangiano. Hanno sete? Bevono. Hanno sonno? Dormono.
E questa non può dirsi felicità o virtù, assolutamente. Felicità e virtù sono presenti solo se sono presenti istinto e ragione, come negli uomini. Perfino Kant dice che se fossimo solo ragione la morale non avrebbe senso, perché saremmo in una perenne condizione di santità e non avrebbe senso darci delle leggi. Noi possiamo sentire la forza della legge morale perché siamo ragione, e possiamo ignorarla perché siamo istinto. Né gli animali né Dio hanno bisogno di filosofare sulla morale o sulla felicità; i primi perché non hanno neanche la capacità di chiedersi se esistano e di accorgersi della loro mancanza, il secondo perché questi sono propri del suo essere [prevengo il pericolo di una discussione su Dio precisando che non credo nel Dio di Kant]. Solo noi che siamo tra la felicità e l'infelicità, tra Dio e gli animali, tra il bene e il male abbiamo la possibilità (e direi IL DOVERE) di porci domande simili.
Essere apatici in modo del tutto inconsapevole non è essere virtuosi, è essere stupidi.
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« Risposta #18 inserita:: 09 Maggio 2007, 23:57:37 »

Pensavo di rispondere punto per punto, ma vi confesso di non aver la forza, il tempo e nemmeno lo spazio per farlo, sicché farò un discorso breve, sconclusionato e impreciso. @_@

Anzitutto mi vedo costretto a spiegare quello che ho scritto, perché dalle risposte che vedo capisco di essere stato troppo poco preciso. Molti di voi hanno risposto come se parlando della nostra generazione la stessi automaticamente separando e mettendo a confronto con le precedenti, ma in effetti tutto questo non è mai avvenuto. Nel mio discorso (anche se non è proprio così in quello di Pasolini) le generazioni passate non sono proprio entrate, e parlando della nostra non intendevo in alcun modo fare paragoni; allo stesso modo vi ho visti parlare più volte di un'ipotetica perdita di valori, spesso e volentieri in termini anche piuttosto scettici, ma più che di perdita io parlerei di carenza e più che di valori io parlerei di emozioni, pulsioni. Sono la curiosità, il piacere della conoscenza e il gusto della discussione a mancare più che il valore o l'importanza attribuiti alle stesse: si tratta quindi di disinteresse e non di svalutazione.

Citazione
Aggiungo una mia personalissima idea, anche un po' in tono provocatorio: anche assaggiare il cibo cinese è conoscenza, quindi è bene. Ogni cosa/persona con la quale ci incontriamo-scontriamo ci aiuta sicuramente a crescere; magari ci fa cambiare la nostra visione del mondo, oppure ci conferma le nostre certezze. In ogni caso è sicuramente un vantaggio che giova prima di tutto a noi stessi. Per quanto sia stato brutto sono felice di aver visto perfino Dodgeball. Sicuramente è meglio conoscere un film in più (per quanto brutto) piuttosto che passare una serata a giocare a OGame/Wow/che altro. Insomma, tutto fa brodo, e non è vero che sono importanti solo le nozioni che impari leggendo i libri di storia. Quando ti si intaserà il lavandino di casa ti pentirai di sapere la data della morte di Napoleone o l'Infinito di Leopardi e di non saper aggiustare i tubi, e allora non arriveranno Virgilio o Enea a darti una mano. Pensi forse che quella dell'idraulico non sia conoscenza? E che non serva a stare in un rapporto migliore con sé stesso e col mondo? :D
Questa parte non l'ho discussa né lo farò adesso perché sono veramente distrutto, ma la condivido molto... non per niente abbiamo giocato a ping pong con un tavolino fatto in casa per una settimana, camminando su parquet messo da me a 7 anni :°D

A proposito della felicità concordo con AA, in particolare col suo post di risposta a Ezra, nel quale in effetti spiega quello che non ho saputo/voluto dire io: l'importante è non forzarsi, non imporsi un modo di essere o una maschera. Se non cerchiamo di forzare la nostra felicità e ci limitiamo a fare ciò che più ci è incline, tranquilli e consapevoli della sensatezza della cosa, noi stessi ne trarremo vantaggio, e così le persone a noi vicine. Per Jay:

Citazione
mi pare anche normale, ci sono tanti momenti per leggere un libro, perché togliersi quel poco di compagnia che ci può essere in un Pub di sabato sera? dopotutto, per leggere c'è sempre tempo, per uscire il sabato..si fa solo il sabato :D
Non critico il pub del sabato sera: nel mio post parlavo di un gruppo particolare, portato ad esempio, in cui sono chiarissimi l'infelicità e il disagio di non avere assolutamente niente in comune gli uni con gli altri e di non provare nessuno stimolo dalla reciproca presenza; è un atteggiamento autolesionista e ridondante, perché finché qualcuno non si romperà e non farà qualcosa, le loro serate continueranno a trascorrere vuote e continueranno a tornare a casa chiedendosi chi gliel'ha fatto fare.

Citazione
Se l'uomo fosse come l'ha descritto Kant non avremmo bisogno di un altro Paradiso. Se l'uomo fosse come l'ha descritto Schopenhauer le cose sarebbero esattamente come sono adesso (o Hobbes, se proprio Schopenhauer non riesci a sopportarlo).
...:*

Purtroppo non sono riuscito a seguire bene il discorso dell'apatia, quindi cerco di sintetizzare quello che ne penso riducendo al minimo i danni provocati dal sonno.
Concordo pienamente col pennuto sulla questione delle modalità dell'apatia, e la estendo al distacco in generale: entrambi sono rispettabili e comprensibili se dovuti ad una scelta consapevole e ragionata, ma sono sinonimo di rozzezza e approssimazione in mancanza di essa. Non sono d'accordo però sull'apatia come felicità, o forse sarebbe più corretto dire che non considero la felicità come un sentimento sufficientemente positivo; io associo la felicità all'eccitazione, all'aspettativa e alla speranza, alla partecipazione emotiva completa e a volte addirittura con la tristezza. Per me (e intendo che è così non SECONDO me, ma PER me) la felicità è partecipazione, cioè l'esatto opposto degli stoici!

Sulla questione dell'egoismo ci sarebbe da parlare per una cinquantina di pagine, ma poiché non ho proprio la forza di farlo mi limito a concordare con Pig [o con quel gran GENIO di Hobbes], col pennuto e con me stesso: l'uomo è per natura portato all'egoismo, il suo stesso egoismo associato al raziocinio lo porta ad aggregarsi in società, e l'egoismo e il raziocinio uniti alla sua sensibilità regolano i suoi rapporti sociali. Il motivo per cui non siamo popolazione ma civitas (non rompete per l'UNICA parola latina che ho usato :°D) è proprio che noi siamo in grado di provare affetto o disprezzo non solo sulla base del fatto che un nostro compagno di branco è più forte di noi. Mi fermo perché sennò scrivo cazzate, e ho sicuramente scordato un sacco di roba.. domani cercherò di rimediare :°°
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« Risposta #19 inserita:: 10 Maggio 2007, 08:57:01 »

Non capite un cazzo. Niubbi. Dato che vanno di moda le citazioni vi dedico una canzone. Specialmente ad AA x)

Citazione
Do you feel what I feel, see what I see, hear what I hear
There is a line you must draw between your dream world and reality
Do you live my life or share the breath I breathe
Lies feed your judgement of others
Behold how the blind lead each other
The philosopher
You know so much about nothing at all

Ideas that fall under shadows of theories that stand tall
Thoughts that grow narrow upon being verbally released
Your mind is not your own,
what sounds more mentally stimulating is how you make your choice
So you preach about how I'm supposed to be, yet you don't you know your own
sexuality
Lies feed your judgement of others
Behold how the blind lead each other
The philosopher
You know so much about nothing at all

Oppure avrei potuto citare ancora Pasolini, ancorché abbia una minore attinenza, ma lo faccio percé DaVk è secksee.

Citazione
“Se voi volete essere una nuova generazione di giovani infinitamente più matura dovete anche abituarvi all’atrocità del dubbio anche a questa sottigliezza sgradevole del dubbio, dovete cominciare ad abituarvi a dibattere i problemi veramente, non formalmente. Si applaudono sempre dei luoghi comuni: bisogna ragionare, non applaudire o disapprovare”.



Ho voglia di dire due paroline comunque, a proposito della "virtù".
Cos'è la virtù? E' forse il riuscire a controllarsi, a misurarsi e rendere la propria vita schiava di un'idea, magari neanche nostra? E' raggiungere l'apatheia, fuggire dalle passioni? Beh allora io non voglio essere virtuoso. Non voglio vivere la finzione di una vita, costruita sapientemente sulle mie debolezze in modo da fuggirne. Se io sono debole è giusto che soccomba, che soffra. La vita è anche questo, e mi fa ridere chi dice il contrario. La vita è carne, sangue, è una cosa bassa sporca e schifosa, e noi ci siamo dentro. E' piena di nostri simili che magari non la trovano così male, e ci si sono adattati meglio di noi. Ma questo non vuol dire che dobbiamo fuggirne, solo perché non ci troviamo bene. Il fatto è che ci siamo e ci restiamo. Pennuth, dimmi quello che vuoi ma non ti credo se mi dici che non provi alcun tipo di stimolo erotico nel vedere una ragazza che ti piace (piuttosto che il culetto [asd nn tanto etto] rosa di Dj). Questo ti deve ricordare che gira e rigira, autarchizza e apatizza tio trovi sempre qui nelle tue duecento ossa. Che palle eh? Ed è ancora peggio, perché stai investendo, o sarebbe meglio dire sprecando, energie in un'illusione, per riprendere un autore citato prima, che prima o poi ti si rivelerà tale. Ti sei creato un modello, uno schema, una certezza. E sei felice, o credi di poter esserlo, seguendolo. Ma tutte le certezze crollano, in un momento o nell'altro. La certezza della vecchietta che va in chiesa a pregare crollerà quando morirà e arriverà un satanasso con coda e corna a stuprarla sulla barchetta di caronte, la tua certezza di essere etero è finita quando ti sei ritrovato tra i cateti e ti è piaciuto, la tua certezza che sia necessario il distacco e l'autonomia da te predicati (pur se secondo me c'è già una contraddizione a concepire un distacco non integrale o un'autonomia che preveda comunque la necessità di rapporti con altri. Più che altro mi chiedo cosa ti frulli per la testa, perché ritrovo nel tuo discorso posizioni che io avevo all'incirca a sedici anni, leggendo le stesse cose che citi tu (forse con un po' più di kant e un po' meno di hobbes). Mi preoccupa vedere che non sei riuscito a superare una situazione del genere.

Ti scrivo qui un paio di versetti che scrissi 3-4 anni fa, non ricordo precisamente, probabilmente doveva essere l'improbabile testo di un'ipotetica canzone x)
Fa stilisticamente cacare, ma il senso mi sembra chiaro.

No, io non posso vivere
Come tutti gli altri
Mi voglio distinguere
Da tutti gli altri
Io so cose
Che voi non vedete
Cerco risposte
Che non mi potete
Dare. L'eremita.

Ciò che non trovo dentro te
Io lo cerco dentro al mio mondo
Come un grande mare che
Voglio esplorare, nel più profondo.

Solo queste rocce mi possono guardare
Il loro sguardo severo si posa su di me
Prima avevo voglia di lottare, di dare
La mia vita gli altri, ora l'ho chiusa a chiave.

A voi laggiù potrò sembrare egoista
Ma la mia scelta è solo il frutto della stanchezza
Io non voglio più correre su d'una pista
Verso ciò che non posso avere, un sogno che si spezza

Dicono che chi si accontenta gode
Ebbene io miaccontenterò di me stesso
Scuotono i miei sogni interminabili code
Lampo che al mondomai potrò veder riflesso

Se vi guardo dalla mia montagna
Tra le fronde vergini di lama
Vedo il caos, una palude ristagna
Non c'è legge, no, l'ordine non vi sfama.

Quando verrà il giorno in cui morirò
Ai miei simili nulla avrò lasciato
Di averci provato dir non potrò
Ma tanto sarebbe solo tempo sprecato

Il tuo aiuto mi sarebbe d'ostacolo
A fidarmi di te non ci riesco
In mezzo a voi io mi sento in pericolo
Siamo diversi, la vostra lingua non la capisco

La sera accendo un fuoco e canto il mio amore al cielo
Nella città non mi sentiranno mai, i rumori creano una barriera
Ma qualche volta mi sento rispondere, dalle cime più vicine
Alla fine è bello sapere, che qualcuno mi capisce.

Dagli istinti non potrò mai liberarmi
Ma potrò cercare di controllarmi
L'unica remora che non mi perdono
Mi chiedo se cerco di essere ciò che non sono.


Come vedete, già 3 anni fa ero più pro di voi, perché c'era in me il germe del superamento del pessimismo che sta alla base della visione pennuthiana del mondo. Perché diciamocelo, pennuth è un maledetto gufone ciccione, e gli puzzano gli alluci.
« Ultima modifica: 10 Maggio 2007, 09:49:50 da _ » Registrato

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« Risposta #20 inserita:: 10 Maggio 2007, 18:59:45 »

Citazione
Ho voglia di dire due paroline comunque, a proposito della "virtù".
Cos'è la virtù? E' forse il riuscire a controllarsi, a misurarsi e rendere la propria vita schiava di un'idea, magari neanche nostra? E' raggiungere l'apatheia, fuggire dalle passioni? Beh allora io non voglio essere virtuoso. Non voglio vivere la finzione di una vita, costruita sapientemente sulle mie debolezze in modo da fuggirne. Se io sono debole è giusto che soccomba, che soffra. La vita è anche questo, e mi fa ridere chi dice il contrario. La vita è carne, sangue, è una cosa bassa sporca e schifosa, e noi ci siamo dentro. E' piena di nostri simili che magari non la trovano così male, e ci si sono adattati meglio di noi. Ma questo non vuol dire che dobbiamo fuggirne, solo perché non ci troviamo bene. Il fatto è che ci siamo e ci restiamo. Pennuth, dimmi quello che vuoi ma non ti credo se mi dici che non provi alcun tipo di stimolo erotico nel vedere una ragazza che ti piace (piuttosto che il culetto [asd nn tanto etto] rosa di Dj). Questo ti deve ricordare che gira e rigira, autarchizza e apatizza tio trovi sempre qui nelle tue duecento ossa. Che palle eh? Ed è ancora peggio, perché stai investendo, o sarebbe meglio dire sprecando, energie in un'illusione, per riprendere un autore citato prima, che prima o poi ti si rivelerà tale. Ti sei creato un modello, uno schema, una certezza. E sei felice, o credi di poter esserlo, seguendolo. Ma tutte le certezze crollano, in un momento o nell'altro. La certezza della vecchietta che va in chiesa a pregare crollerà quando morirà e arriverà un satanasso con coda e corna a stuprarla sulla barchetta di caronte, la tua certezza di essere etero è finita quando ti sei ritrovato tra i cateti e ti è piaciuto, la tua certezza che sia necessario il distacco e l'autonomia da te predicati (pur se secondo me c'è già una contraddizione a concepire un distacco non integrale o un'autonomia che preveda comunque la necessità di rapporti con altri. Più che altro mi chiedo cosa ti frulli per la testa, perché ritrovo nel tuo discorso posizioni che io avevo all'incirca a sedici anni, leggendo le stesse cose che citi tu (forse con un po' più di kant e un po' meno di hobbes). Mi preoccupa vedere che non sei riuscito a superare una situazione del genere.
Le certezze crollano? Grazie al cazzo, l'unica cosa di cui siamo certi, nella vita, é che moriremo.
Le certezze non esistono.
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Kenji
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« Risposta #21 inserita:: 10 Maggio 2007, 20:12:19 »

Allora, premetto che dopo essermi letto quest post omerici, così pregni di significato e di argomenti, mi sento svuotato e quasi paralizzato di fronte al pensiero di una replica.
Aggiungo solo un paio di cosette:


Citazione
Qualcosa di più del mero nozionismo, dici? E cosa pensi che possa darti la scuola (soprattutto quella pubblica)? Innanzitutto servono dei professori ben preparati e ben disposti (con la passione e la capacità di insegnare), e non ne è pieno il mondo. Poi servono degli studenti ben disposti ed interessati. Se fai un sondaggio tra i tuoi coetanei ti renderai conto che il numero di quelli che il sabato sera preferiscono leggersi l'Eneide o la Critica della ragion pura a casa (o perché no, in gruppo) piuttosto che andare a bere/ballare in un qualsiasi pub/discoteca è bassissimo, e forse è perfino uguale a zero. La scuola è una realtà e deve fare i conti con una realtà che è ben diversa da quella che possiamo desiderare. Non puoi organizzare la scuola pubblica sperando che almeno l'80% dei ragazzi sarà interessata tanto alle funzioni esponenziali quanto al pensiero di Pomponazzi (ma neanche a Kant), tanto alla vita di Garibaldi quanto alle poesie di D'Annunzio. Significherebbe essere SCEMI, non solo pazzi. Sappiamo bene che almeno un terzo (e mi sto tenendo molto basso) di quelli che stanno alle superiori se ne fregano di quello che fanno. E a dir la verità di gente così ne sono piene anche le università (e non solo dalla parte degli studenti), ma tralasciamo.
Il problema è che tu pretendi una buona istruzione, per la quale è necessario non solo l'interesse per l'argomento trattato, ma anche una discreta voglia di studiare e soprattutto l'intelligenza. La voglia di studiare, in un modo o nell'altro, se l'argomento ti interessa (o se semplicemente vuoi dei buoni voti), te la fai venire. L'interesse puoi perfino fartelo nascere, con qualche sforzo. Ma per l'intelligenza non c'è santo che tenga. La capacità critica che tu desideri non nasce dal nulla. Per germogliare ha disperatamente bisogno di un terreno fertile, e il terreno fertile è il ragazzo interessato ed intelligente. E non parlo dell'intelligenza come di una cosa comune e di poco valore, sia ben chiaro; di persone realmente intelligenti, che sono destinate ad eccellere (non per forza a raggiungere fama mondiale, eh), non ne è pieno il mondo. Sono elitario? Sì, probabile. Ma devi ammettere che la realtà è questa, ti piaccia o meno. Le persone che hanno: 1) la possibilità di studiare; 2) la voglia di studiare; 3) l'interesse per ciò che studiano; 4) il cervello per eccellere sono davvero poche. E la scuola, purtroppo, non può alzarsi al loro livello, ma deve abbassarsi al livello medio dei ragazzi del giorno d'oggi. Il vostro gruppo l'ha capito, e ha capito anche come uscire da questa situazione orribile. Si dice giustamente aiutati che Dio t'aiuta: voi datevi da fare, coltivate i vostri interessi, ampliate la vostra cultura. Un giorno potreste raccoglierne i frutti (perfino in fama e denaro), ma sappiate che il premio della conoscenza è la conoscenza medesima: La cultura è il miglior viatico per la vecchiaia (Aristotele) [confesso che l'ho presa da Wikipedia, perché cercavo la citazione di un altro filosofo che ha detto una cosa come "impara tutto e vedrai che nulla è inutile", ma non ricordo neanche chi fosse :(].


Non so chi sia il filosofo della tua citazione, ma leggendo le tue opinioni sulla scuola e sul suo "innalzarsi" o "abbassarsi" allo studente mi ricordi molto Gentile.
Detto questo mi sento di sottoscrivere il messaggio qui sopra.
La critica al nozionismo scolastico è una di quelle idee originali che passano per la mente al 90% degli scolari.  Col passare del tempo si capisce che anche la nozione ha un suo ruolo base nella costruzione delle fondamenta di un pensiero critico.

Relativamente all'individualismo come valore, c'è da chiarire che esso è IL valore  fondante del capitalismo borghese (e dunque è il valore alla base della nostra società). Detto questo, non so quanto l'assimilazione dell'individualismo alla dimensione interiore del "conosci te stesso" alla quale faceva riferimento AA sia possibile o quantomeno applicabile alla realtà, laddove l'individualismo è solo un germe utilitario, legato al profitto, alle barche, alle piscine, alla roba in generale. Parlare di  dimensione individuale interiore, di ricerca introspettiva atta a sfornare considerazioni sull'esistenza (Ognuno sta solo sul cuor della terra/trafitto da un raggio di sole) mi trova anche d'accordo, ma vorrei affermare che, almeno da parte mia, c'è anche una forte tendenza all'uscire dalla dimensione individuale per abbracciare quella che può essere chiamata una pulsione cristiana, umanista, relativa al prossimo.

Citazione
Sono molto d'accordo con il tuo discorso finale, ma.. dalla tv si può uscire, ci sono metodi per non rimanerne succubi, e molti di noi ne sono una prova. Com'è possibile invece che la maggioranza cada fra le sue grinfie, è la vera domanda..

E' molto più facile di quel che si pensi essere non succubi, ma almeno dipendenti dalla televisione. La definizione di televisione che preferisco dare è quella di J.Condry, che la definiva "Ladra di tempo e serva infedele". Non ci se ne rende conto, ma la televisione, anche tra molte persone che sostengono di non farne uso, è una abitudine che assorbe tempo. Anche se si tratta di un film dopo cena, anche se si tratta dei soliti programmi (quanta gente conoscerò che dice "guardo solo i simpson" e poi magari ha visto lo spezzone di Striscia, poi Blob, poi dieci minuti di reality e via dicendo) la televisione succhia una percentuale di tempo in una giornata che non può essere restituito. E lasciarsi trascinare nel vortice non è difficile, è semplicemente segno d'inerzia, specialmente con la tv d'oggi, che cattura l'attenzione dello spettatore con un frizzo, con una parola scomposta, con un litigio, con una curiosità, con una ragazza in shorts. E' uno strumento totalmente passivo, che al minimo contatto induce all'abuso.
Non è paragonabile l'approccio televisivo a quello di un libro. Non importa prendere "L'ulisse" o "L'uomo senza qualità", per dire due libri molto complessi, ma basta considerare un qualsiasi romanzo, anche elementare e avvincente. Per offrire qualcosa necessita di una attività intellettiva nettamente superiore. Ha bisogno non solo di assoluta o quasi concentrazione, ma mette anche in funzione capacità immaginative molto superiori. Per non parlare della complessità dell'operazione in sè che distingue la decodifica di un insieme di simboli grafici, da quella di una sequenza di immagini, per definizione più immediate e alla portata di tutti.
Quindi è assolutamente normale che sia molto più facile un approccio televisivo.
« Ultima modifica: 10 Maggio 2007, 20:13:32 da Kenji » Registrato

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« Risposta #22 inserita:: 14 Maggio 2007, 14:56:25 »

Avete visto la puntata di oggi dei simpson? penso che sia geniale °_°

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« Risposta #23 inserita:: 14 Maggio 2007, 15:12:22 »

più che altro, è eloquente.
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« Risposta #24 inserita:: 24 Maggio 2007, 19:35:27 »

Di quale puntata parli, utenteconl'avatardelsederechesballonzola?
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