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Autore Discussione: First day of my life  (Letto 3934 volte)
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Doc Benway
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extra olives just won't do

mr_zaitus@hotmail.com
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« inserita:: 02 Marzo 2005, 15:01:28 »

Molti l'han già letto..però già che Dark posta il suo miglior raccontino, tocca a me rispolverare l'argenteria di casa  :kaos0312:

Il tetro ramo di un albero gli faceva compagnia. Aveva buttato via forse una ventina d’anni. Provò a riavvolgere il nastro. Arrivò fino al 1985. Quando era un bambino, sì, un ragazzo pressochè invisibile, che però era stato notato. Da una ragazzina, carina, sì, forse non il massimo, però con un gran bel sorriso. Non era neanche troppo stupida, beh, sì, nei limiti, d’altronde le femmine secondo lui erano sempre state piuttosto stupide, anche se sbagliava e sapeva di sbagliare gli piaceva crederci e illudersi così di essere sempre meglio. Ma non voleva uscire fuori troppo dai limiti col pensiero. Cercò solo di ricordare cosa successe. L’aveva conosciuta a 15 anni. Era bella. Ballarono. Sotto le note di una canzone che gli piaceva da matti, che sentiva davvero sua. E continuarono a ballare. Ballarono tutta una notte, assieme, lenti inclusi. Stretti, abbracciati, respirando l’uno sul collo dell’altro. Non sapevano neanche i loro nomi. Si rividero una stanca mattina di Novembre, qualche mese dopo, a scuola. Non sapevano di frequentare la stessa scuola. Non sapevano che si erano pensati milioni di volte. Quel ragazzo immaginava, ma non ne era convinto, che l’uomo di un domani ripensando a quell’incontro avrebbe pianto un po’. Avevano parlato. Erano volati con la mente, verso l’alto, verso il cielo, verso l’infinito. Sensazioni che solo la musica era riuscita a dargli. E a darle, come capiva dalle sue parole. In un istante capì di volerle bene. Non di amarla, l’amore era una faccenda troppo seria per lui. Si ricordò il suo nome, Annalisa. La cercava ad ogni ricreazione. Lei spesso era lì ad aspettarlo. Si sentivano spesso, anche via telefono, a lui non importava di quanto potesse essere la bolletta, il solo sentire la sua voce era un toccasana per lui. Poi, un taglio. Lei se ne andò. Si trasferì. Loro erano in un paesino del sud, il povero sud, senza industrie. Lei andò al nord. A Milano. Perché i suoi dovevano in qualche modo mantenerla. Perché i suoi invece erano una delle poche famiglie fortunate con un lavoro e doveva restare lì? Maledì la fortuna. Ripensandoci, gli sfuggì un sorriso. La sua vita era più vuota, allora. Sì, la sentiva ogni tanto, però non riusciva a non vederla. Non poteva non vederla. Dopo un po’ non riuscì più a sentirla. Aveva cambiato casa e non sapeva come avvisarlo. Aveva perso il suo numero. Ricordò di essere stato sere intere attaccato alla cornetta sperando di sentire qualcos’altro oltre a uno strozzato bip bip bip di occupato. Ma la situazione non cambiava. Arrivò alla fine della scuola – aveva ormai 20 anni – dopo quattro anni, lunghissimi, senza sentirla. Decise di partire per Milano. Voleva inseguire il suo sogno, ed in fondo doveva anche fare l’università. Ma all’università scoprì che non c’era nessuna Annalisa Parra. Il suo malessere interiore continuava. Dove si era ficcata? Non ne aveva idea. Iniziò a girare per ogni quartiere di Milano. Tornava a casa tardissimo, e per questo spesso dormiva male e non riusciva a seguire le lezioni. Non riuscì a superare un esame importante per questo – non ricordava però quale esame –, ma soprattutto non riusciva a svegliarsi contento. Non sorrideva più. Continuava a girare, la notte, senza però nessun risultato. Finchè non gli venne un’idea. Ma certo! Doveva diventare famoso. Così avrebbe potuto fare un appello che in tanti avrebbero ascoltato. Fare il classico dunque era servito a qualcosa. Studiò, si impegnò molto più a fondo di prima. La cercava ancora, durante la notte, per Milano, ma non la trovava. Piangeva spesso. Non reggeva più una tale voglia anche solo di sapere dov’era, cosa faceva, se lo pensava. Si era laureato in letteratura italiana, finalmente, dopo 5 anni di studi – era il 1995 – e lavorò. Lavorò giorno e notte, scrisse il suo libro, implorando che fosse un successo. Il titolo era “Il mistero delle croci greche”. Usò il suo nome vero e scrisse “Dedicato ad Annalisa Parra. Ti prego, fatti sentire” in prima pagina. Erano passati 2 anni dalla laurea – più in fretta davvero non era riuscito a fare –, e finalmente tornava a sperare. Soprattutto grazie al boom fatto. Ben 3 milioni di copie vendute. Voleva assolutamente rivedere Annalisa. Era sicuramente cambiata, ma non così tanto. Sotto sotto era sicuramente rimasta quella ragazza dolce e simpatica che aveva conosciuto. Ma la sfortuna lo vide ancora protagonista. Una mattina, uscendo di casa, fu investito. Eh, sì, la colpa era sua, non guardò bene il semaforo ed era preso da una lettera del suo editore. Una lettera che non diceva niente di che. Ma che lo aveva fatto sperare in un ritrovamento di Annalisa. Restò 7 anni in coma. Come dormire una notte. Nel sogno che faceva, sognava di essere perso davanti al cinema della sua vecchia città. Non sapeva più come tornare a casa. Ma, dopo mesi di attesa, arrivava Annalisa, e lo riconduceva lì. Quando era entrato dentro casa sua, si risvegliò. Era ormai il 2005 – erano 10 giorni fa – pensò tra sé, e Annalisa era lì, affianco a lui. La guardò. Era bellissima. Era dolcissima. Non parlò, chiamò solo il dottore e se ne andò subito. Il dottore lo rimise a posto, e in 8 giorni potè uscire. Appena uscito, cercò di rimettersi in contatto con l’editore. Questo gli disse che sì, avevano trovato Annalisa durante il terzo anno nel quale era in coma. Lei spesso era stata a trovarlo, anzi, si poteva tranquillamente dire una volta al giorno. Non sapevano l’indirizzo, ma ce l’avevano sparso per l’ufficio, l’indomani gliel’avrebbero sicuramente dato. E l’indomani – cioè oggi, 17 Novembre 2005 – glielo darono. Felice salì in macchina, fece il suo solito giro per la città, prese il giornale, ma qui la sua ilarità si fermò. Vide i necrologi. Tra questi, uno aveva un nome conosciuto. E no, non era possibile. Era morta. Annalisa era morta. C’era anche un articolo su di lei. Era stata investita. Perché lui era sopravvissuto e lei no? Cos’era questa discriminanza? Tornò, mesto, a casa. Era un’ora fa. Aprì la cassetta delle lettere – toh, c’era posta. Ne guardò due o tre. Bollette, bollette..Guardò l’ultima. Gli si fermò il cuore. Il mittente era Annalisa Parra. Si mise sulla panchina della sua villa, vicino alla piscina, a leggerla. Aprì la busta.
“Milano, 16/11/05
Caro Daniele,
so che mi hai cercata per lungo tempo, so che hai fatto tanto per ritrovarmi, però tu devi sapere che non avresti mai dovuto farlo. Ti ho amato, profondamente, e ti amo, profondamente. Appena non ho più potuto chiamarti – colpa dei miei genitori –, mi è stato fatto capire che io ero già stata promessa in sposa a un capo mafioso. Non potevo parlare, o sarei stata uccisa. E quindi, alla fine, l’ho sposato. Solo ora, dopo anni di silenzi, mi sono resa conto di quanto questa vita non sia tale. Solo dopo aver visto i tuoi occhi riaprirsi dopo anni di silenzio tuo, nei quali io ti parlavo, ti raccontavo di me. Magari tu non ricorderai niente – eri in coma d’altronde –, ma sei stato importante per me. Sei stato il mio sogno per lungo tempo, per la mia vita intera. Ma non posso renderti realtà. Se provassi solo a divorziare, sarei immediatamente fatta fuori e il mio corpo sparirebbe chissà dove. Lo so, è impossibile concepirlo, in un secolo come questo, dove la libertà la fa da padrone, ma appunto per questo il mondo non riesce più a credere che esistano ancora persone obbligate a fare ciò che non vogliono. Io sono tra quelle, mio malgrado, e tuo malgrado lo sarai anche tu, nonostante dirlo mi provochi un’infinita stretta al cuore, che non la smette mai di stringere. Non la smetterà neanche tra poco, quando mi butterò sotto una macchina, tanto vivere mi causa troppo dolore. Non riuscirei a vivere pensando a te libero e a io impegnata per l’eternità con un uomo che non amo e che anzi odio profondamente. Sono riuscita a inviarti questa lettera nonostante la stretta sorveglianza dei suoi picciotti – spero che non me la controllino, oppure sarò uccisa subito e tu non saprai nemmeno la verità su di me. Ti ho amato, ti amo, ti amerò per sempre. Tua
Annalisa”

Daniele smise di pensare. Si alzò dalla panchina e si mise a cercare un CD. Lo aveva trovato quasi subito. Subito dopo, si vestì bene. Un frac bellissimo. Era di 9 anni prima, ma gli stava benissimo. Uscì di casa con la sua macchina. Prese delle rose. Tornò a casa sua, mise la macchina in garage. Si chiuse all’interno di questo. Prese il CD. Sì, era quello. Risentiva la loro canzone. Era giusto quello che stava facendo? Oppure uccidersi era sbagliato? E non era una stupidaggine quella di vestirsi bene e delle rose? Non doveva andare da nessuna parte, e non se le sarebbe portate dietro in paradiso. Eppure voleva farlo. Non le aveva mai comprato delle rose..E aveva una voglia pazzesca di farlo. Si fermò. Sentì un attimo la loro canzone.
“For once I’m sure that this is where I long to be
No need to know
If there’s something more than this
No need to go
Cos there’s nothing more than this
My future is so clear
Cos everything’s right here”

…Sì. Era giusto farlo. Accese il motore. Entro poco sarebbe morto soffocato, ma prima si sarebbe addormentato. Ma non aveva paura. Aveva solo voglia di rivedere Annalisa. Sì, di riabbracciarla. Forse non ce l’avrebbe fatta col corpo, ma sicuramente con l’animo sì. Non aveva dubbi. Chiuse gli occhi. Sorrise. Perché doveva essere triste? Finalmente, dopo anni di ricerche, sapeva dove trovarla.
E la stava trovando.
“Inside of me…
This is the first day of my life”

L’ultimo ragionamento lo fece qua. Sì, pensò, questo è il primo giorno della mia vita, non l’ultimo.
E morì, sorridendo.


Liberamente ispirato da GOURYELLA “Ligaya”.
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« Risposta #1 inserita:: 02 Marzo 2005, 15:06:34 »

Bello, tranne per due cose:

La parola "Picciotto" che rompe la poesia del racconto.
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Ebbene sì, sta perdendo un po' di tempo qui nel forum
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« Risposta #2 inserita:: 02 Marzo 2005, 15:27:30 »

La trama non è nulla di eccezionale, ma il racconto è scritto discretamente. Intensa la caratterizzazione, sottovalutato l'aspetto narrativo: a mio avviso poteva essere sfruttato molto meglio.
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« Risposta #3 inserita:: 02 Marzo 2005, 15:31:47 »

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« Risposta #4 inserita:: 07 Dicembre 2005, 22:44:53 »

;_;

[Edit: anti-quoto Vulkano]
[Ri-Edit: in poche parole, è scritto maluccio ma racconta una storia toccante]
« Ultima modifica: 07 Dicembre 2005, 22:54:39 da Ezra » Registrato

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Visto che marini la scuola per venire qui a postare, ora chiamo i carabinieri
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« Risposta #5 inserita:: 09 Dicembre 2005, 16:57:45 »

Davvero bella, anche se ogni tanto sarebbe bello che scriveste qualche storia a lieto fine...
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Ezra
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« Risposta #6 inserita:: 09 Dicembre 2005, 23:34:21 »

...Uhm, dovrò darmi una mossa a pubblicare i miei raccontini, in questo caso. Stay tuned!
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In effetti, sembra proprio che voglia stare qui
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« Risposta #7 inserita:: 07 Gennaio 2006, 07:56:04 »

Bella la trama ma lo stile è un po' acerbo... azzo, mi state facendo tornare la voglia di scrivere qualcosa... tutti i miei vecchi file sono andati morti ;O;

Tornando al racconto di diggio direi che la storia è veramente toccante... commuovente. Inoltre non è vero che non c'è il lieto fine... Dipende lieto per chi. Credo che alla fine il protagonista fosse infinitamente felice e infinitamente triste allo stesso tempo... O perlomeno questo è il mio modesto parere :P
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[span style=\'color:green\']George Orwell, La fattoria degli animali
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