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Autore Discussione: Per Giancarlo Siani, ma anche per tutti gli altri  (Letto 2770 volte)
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Cho Teko
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« inserita:: 23 Settembre 2005, 14:54:27 »

Premessa: non è una vera storia. E' più che altro una "scusa" per dire quello che penso della situazione della mia città, e non solo di questa. Infatti nella storia si parla di Italia, e non di Napoli. Perché la camorra, anche se con altri nomi, c'è dovunque.
Per chi non sapesse chi era Giancarlo Siani, comunque, faccio un breve riassunto.
Giancarlo Siani era un giornalista de "Il Mattino", e scriveva principalmente di cronaca nera, in particolare interessandosi alla camorra, negli anni '80. In seguito ad un articolo scritto nel giugno dell'85 sull'arresto di un noto boss, viene organizzato il suo omicidio, poiché aveva rivelato che il boss era stato intenzionalmente tradito dagli altri suoi alleati, dato che era diventato scomodo. Un omicidio fatto per non "perdere la faccia", che avviene il 23 settembre 1985. Aveva 26 anni.

(ah.. Se ho scritto qualche fesseria storica, non trattatemi troppo male :( )




Ed ecco, finalmente, la storia:

Il professor Carmine Esposito era pronto. Davanti a lui, piazza del Plebiscito era gremita di gente. Non c'era spazio nemmeno per una mosca: alcuni ragazzi facevano persino a turno a salire sulle spalle degli altri, per poter vedere meglio. Cartelloni, striscioni, slogan spuntavano da tutte le parti, e permettevano di identificare le zone ideologiche: di là gli sterminatori, di là Coloro Che Credono Nel Perdono, di là gli incoerenti, di là chi non c'ha capito un cazzo. Era importante saper distinguere le zone ideologiche, così sapevi sempre dove guardare quando dicevi una cosa o un'altra.
Non era davvero nervoso, il professore; aspettava solo di poter tornare a casa. Detestava quel tipo di manifestazione, perché si infervorava. Ci metteva l'anima in quello che diceva, e la gente lo ascoltava, ci credeva, dava segni di apprezzamento, e alla fine lui e il pubblico erano tutt'uno, avevano le stesse idee, sensazioni, voglie.
Poi finiva, e tutti tornavano a casa, scordandosi quello che avevano visto e sentito.
Per questo odiava parlare in pubblico.

Ecco lo speaker che annunciava il suo turno, era il momento di parlare. "Ed ora la parola al professor Carmine Esposito"

Il professore sapeva di essere solo un minuscolo, insignificante, piccolo Che Guevara che si batteva per la libertà dal regime criminale, ma lottava lo stesso. Cercava anche lui una patria, e sapeva che o c'erano "loro" o c'era l'Italia. La convivenza non era possibile.

«Egregi concittadini, non sarò breve.» risatine. Cazzo, non stava scherzando. Non era dell'umore adatto. «E' passato parecchio da quando, ventenne, scrivevo recensioni sull'ultimo CD di Guccini per rivistuncole da quattro soldi. E oggi, qui, a questa manifestazione in memoria dei morti per mano del crimine organizzato, dobbiamo passarci una mano sulla coscienza, e capire che se "loro" ci sono ancora, la colpa è anche nostra.
Pubblico spesso cronaca nera su "Il Mattino"; parlo di questo o quel boss arrestato, questo o quel cognato latitante, quest'altro o quell'altro ancora che sono stati promossi, traditi, cacciati. Credetemi quando vi dico che non ne posso più. In ogni mio articolo rivedo amici giornalisti uccisi, figli di vecchi compagni di scuola ridotti a mendicare cocaina mischiata a borotalco allo spacciatore di turno, immigrati costretti a vendere, nel migliore dei casi, o a vendersi, nel peggiore; vedo poliziotti, carabinieri, giudici, avvocati, morti. Uccisi perché facevano il loro lavoro. Ma soprattutto vedo gente che non c'entrava niente, vedo bambini morti alla loro prima comunione, vedo spose in rosso sangue e testimoni senza testa. E tutto sommato vedo anche "loro", che non devono avere vita facile.
Sono qui, comunque, solo per dire cosa penso. Come tutti saprete, non vivrò ancora a lungo: la camorra toglie di mezzo chi gli sta antipatico. Visto, quindi, che potrei non avere mai più occasione di parlare in pubblico, non vi parlerò degli intrallazzi politici, dei golpe interni alla camorra stessa, di questo o quel clan che hanno fatto guerra ieri o l'altro ieri. Vi parlerò di come risolvere tutto questo.

I greci, grandi pensatori, grandi uomini politici, grandi storiografi, grandi costruttori, grandi in tutto, hanno ideato la democrazia. Quasi tutto quello che abbiamo ora, senza di loro non lo avremmo.
Il concetto di Stato, per la Grecia antica, era però diverso dalla concezione che ne abbiamo noi. Un esempio è che era tutta divisa in polis, piccoli staterelli, ma tutti in guerra tra loro, o comunque, anche se disposti ad allearsi, mai disposti a perdere la loro identità. Eppure, in ogni singola polis, in concetto di democrazia era portato all'estremo. Ognuno era parte dello stato, e ogni volta un greco doveva fare qualcosa, pensava, sapeva, che ogni sua azione aveva effetto sul resto della città. Sapeva che la sua vita, quella dei suoi figli, dei suoi fratelli e dei suoi concittadini erano nelle sue mani. In questo modo, però, tendevano a non riconoscere l'individuo singolo, e l'eventuale morte in guerra di uno significava solo perdita di un "pezzo". Era un giusto sacrificio affinché la polis continuasse a esistere.
Potete condividere o meno la loro idea di stato, mi interessa relativamente. Ora passiamo all'organizzazione del nostro stato. Ogni individuo esiste, e può dire la sua su come la nazione deve essere gestita. Se uno muore, è morto quell'uno, e di quell'uno ce ne frega comunque. Abbiamo completamente scordato il concetto di totalità dei greci, siamo una società del tutto "individualista", che porta all'estremo il concetto di singolo individuo. Per dirlo alla maniera che qui è più compresa, l'Italia attuale segue la filosofia del "e c'aggi'a fa'?!". Voi adulti: nonni, genitori, adolescenti troppo cresciuti, quando comprate il CD per il nipotino (o per voi stessi) dal "marocchino", cosa vi dite? cosa pensate? Sapete perfettamente che state pagando la sezione camorristica del vostro quartiere, naturalmente, quindi cos'è che vi dice che il gioco vale la candela? solo il risparmio? Non ci credo. Quando comprate il CD voi pensate che dopotutto non è per quell'unica volta che quell'unica persona compra un CD, che questo business ha successo, quindi non è per colpa vostra. O pensate che è a Scampìa, a Secondigliano, a Fuorigrotta che si scannano, e che voi siete al sicuro, e che i "marocchini" lavorano in proprio, e che state quindi facendo loro una carità? Credo che dovremmo imparare qualcosa dai nostri antenati. Non possiamo portare all'estremo il concetto di società, come hanno fatto loro, ma dobbiamo renderci conto che non esistiamo solo noi. Quando camminate, voi vedete facce, facce che non conoscete, ma sono anche le stesse facce che votano il politico indagato per corruzione, o il mortadellone di turno. Sono le stesse persone che vi fanno il pane, che inventano le vostre medicine, che insegnano ai vostri figli, che vi procurano figli a cui insegnare, che fanno in modo che la vostra moneta non venga svalutata, che voi, tutti, non finiate sul lastrico. Sono le stesse persone che si lamentano, esattamente come voi, quando al governo c'è una coalizione di incapaci, che hanno avuto un'infanzia difficile, che vogliono solo stare bene, come voi. Sono persone che, come voi, devono pagare il pizzo o comprare il regalo al nipotino per Natale. Sono le stesse persone che, come voi, hanno il diritto di girare per strada senza che un proiettile vagante faccia loro un buco nella mano. Le stesse persone che vorrebbero leggere sul giornale di una partita di calcio ben fatta o di arte, musica, concerti, invece dell'ennesima bambina violentata e poi uccisa, o dell'ennesima strage di innocenti per uccidere un tale che, si scoprirà poi, apparteneva alla famiglia dominante.
Sono quelle persone che, come voi, decidono della vostra e della propria sorte.
E' per questo che se nessuno di voi pagherà il pizzo, la camorra non potrà farci nulla. Potranno anche uccidere uno di noi, ma non potranno ucciderci tutti, perché è su di noi che loro guadagnano! Se noi smettiamo di fornire loro soldi, loro smetteranno di fornire la merce, e se noi non diamo loro qualcuno da dominare, non lotteranno per ottenere il regno.

L'ho già detto, io presto non ci sarò più. In questa città non cambierà nulla: la camorra incasserà il pizzo e il figlio di Gianni morirà per colpa di questo tale membro di questa tale famiglia, e ogni traccia di questo "comizio" che ora tengo forse sparirà appena varcherete la soglia di casa per gustare la pasta con le vongole della domenica. Però le mie idee, quelle ve le lascio. Sono il mio regalo per voi, nella speranza, forse l'utopia, che prima o poi, ricominceremo a credere l'uno nell'altro, ad allearci, a capire che senza il nostro vicino di casa noi potremmo non esistere. Le mie idee sono la mia eredità per voi, perché possiate finalmente cambiare questa società malata.

Perché la libertà non è star sopra un albero. Non è uno spazio libero. Libertà è partecipazione.

Guadagnatevela, e buona fortuna.»
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Obesino
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« Risposta #1 inserita:: 23 Settembre 2005, 19:00:47 »

ehi! anch'io mi chiamo siani di cognome! l'unica cosa è che nn sono parente di alessandro siani, quel "comico" def*******.
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A cambiare la mia vita è stata una telefonata.

"Salve, vorrei offrirle un posto nella gastronomia: vorrebbe diventare un obesino?"

Jon Lord
In effetti, sembra proprio che voglia stare qui
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« Risposta #2 inserita:: 23 Settembre 2005, 19:13:37 »

Be', e io mi chiamo Carmine, comunque bellissimo pezzo, Dark.
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« Risposta #3 inserita:: 23 Settembre 2005, 20:35:41 »

Deficiente non è una parolaccia, irdg, e nemmeno defecato. Cmq pezzo davvero significativo, bravo Divy :*
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« Risposta #4 inserita:: 23 Settembre 2005, 22:50:32 »

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